La Carica Batterica nel Reverse Searing

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Qual è Rischio Sanitario del Reverse Searing?

Si ok, lo ammetto: ho un’allergia di pelle per l’allarmismo strumentale. Hai presente quel video che circolava un po’ di tempo fa, che prendeva in giro lo smodato ricorso a frasi ad effetto da parte dei media per dare suggerimenti in ambito salutistico suffragati da fonti indefinite o da ricostruzioni semplicistiche? Te lo ripropongo per farti due risate.

Affrontando più seriamente la questione, la folgorazione dovuta ad una previsione inaspettata, meglio se sconvolgente o che sia in grado di creare ansia e preoccupazione, VENDE. Da sempre. Non che certe affermazioni siano completamente inventate, per carità ma l’elemento che viene sempre opportunamente dimenticato nella notizia è in realtà quello più importante: qual è la probabilità che quell’evento accada?

Mi spiego meglio.

Qualunque giornale urli che l’Università dell’Arizona (ma chi saranno mai Harvard e Yale?) se ne esca con un nuovo studio in cui si dice che mangiare banane aumenta il rischio di infarto, ne omette sempre di specificare l’entità. Solitamente questi studi sono su archi temporali troppo brevi e su campioni troppo piccoli per giustificare la certificazione di una vera correlazione (cosa che in ogni caso non competerebbe all’Università), ma se anche fosse, cosa dovrebbe voler dire “aumenta”? Di quanto? Lo aumenta dello 0,0000000001% o lo raddoppia? Perché capisci che la stessa affermazione ha un effetto completamente diverso sul tuo comportamento se introduci nella valutazione questo piccolo particolare….

Se mentre scalo una parete verticale a mani nude e senza imbracature dovessi cadere, morirei certamente. La stessa cosa avverrebbe però se cadesse l’aereo su cui sto volando. Stesso risultato. Eppure volare su un aereo è una cosa normalissima e frequente per milioni di persone mentre scalare a mani nude una montagna viene considerata un’attività da pazzi suicidi. Ciò che cambia la percezione è la probabilità che l’evento accada non la gravita dell’evento in se.

L’inserimento della valutazione del livello di probabilità in un analisi è in grado di cambiarne radicalmente le conclusioni ed ammetto che è una cosa che mi diverte moltissimo fare. Un po’ perché riporta un po’ di sano realismo in un mondo che riesce a dare ancora del credito al terrapiattismo e Dio solo sa quanto ce ne sia bisogno. Ma soprattutto perché mi dispiace vedere le persone strumentalizzate.

In passato ho già riportato un po’ con i piedi per terra l’incomprensibile e totalmente ingiustificato terrore nei confronti dei nitriti per quanto riguarda la tecnica dell’affumicatura a freddo. Oggi volevo provare a fare la stessa cosa in un altra nicchia barbecue nella quale ho sentito dire un sacco di assurdità: il presunto rischio legato alla carica batterica del Reverse Searing, ovvero la tecnica in base alla quale si fa  precedere il grilling di una bistecca da una fase di sosta a temperatura controllata, al fine di innescare un’attività enzimatica che ne migliori cauterizzazione, texture, morbidezza.

Post Batteri RS 3Che in un globo intero che applica il Reverse Searing, discussioni di questa intensità su questo aspetto capitino praticamente solo qui da noi non deve stupire più di tanto: da sempre noi italiani siamo particolarmente sensibili a questi meccanismi comunicativi e c’è da aggiungere che da noi l’aspetto sanitario è una leva-spauracchio che risulta sempre molto efficace. Esiste quindi chi è apertamente contrario al Reverse Searing accusandolo di essere una fucina di batteri in qualunque condizione venga esercitato e chi invece è dichiaratamente a favore, che argomenta addirittura l’esistenza di temperature soglia, al di sopra delle quali si inneschi un fenomeno di sanificazione.

Quale corrente di pensiero avrà ragione?

Ho deciso come sempre, di dare il mio umile contributo all’annoso dilemma con il consueto approccio “agnostico“, senza alcun condizionamento preventivo a favore di alcuna tesi. Proviamo ad andare sul concreto e vediamo cosa succede IN UN CASO PRATICO in una bistecca in Reverse Searing sulla sua carica batterica. Nel 2021 gli strumenti a disposizione del comune cittadino ci permettono ormai se non proprio di dare risposte certe, quantomeno di fornire alcuni elementi indiziari. Ho quindi deciso di procurarmi alcuni kit di rilevazione, di quelli rapidi di autoanalisi e di effettuare un test effettivo, vero, “su strada” in base a regole che vi illustrerò qui di seguito, basandomi di fatto sui presupposti in essere in questa prova.

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I test in questione agiscono su campioni ambientali ed il loro scopo non è chiaramente di arrivare ad individuare la natura della carica batterica ma semplicemente quello di rilevare la minima contaminazione, tentando di svilupparla in maniera esponenziale in ambiente di coltura ideale, in modo da produrre semplicemente un risultato certo del tipo SI/NO, ma cercherò ugualmente di utilizzarli ai nostri scopi.

Prima di procedere però proviamo come dicevo, ad aggiungere alcune considerazioni alla questione carica batterica del Reverse Searing, introducendo il concetto di probabilità sui principali elementi di discussione che mi è capitato di incontrare in questi anni, giusto per vedere se cambia qualcosa nella mia o nella tua valutazione del rischio:




MA DI CHE BATTERI STIAMO PARLANDO?

Post Batteri RS 7Eh si, perché dire “batteri” é come dire tutto e niente. Cerchiamo di interpretare. Esistono diverse classificazioni dei batteri in base a diversi criteri e una fra queste li raggruppa in funzione del range di temperatura nel quale proliferano. Ciascuna di queste famiglie infatti è caratterizzata da una temperatura minima al di sotto della quale di fatto l’attività è estremamente contenuta o inesistente e una massima, superata la quale subiscono un progressivo danneggiamento della membrana cellulare che fa crollare in modo verticale la curva di crescita della proliferazione. La quasi totalità dei patogeni per l’uomo è racchiusa nella categoria dei batteri mesofili, ovvero quelli il cui range di temperatura ideale è compreso tra i 20 e i 40 gradi.

Cosa vuol dire questo, che sopra e sotto quella soglia in assoluto non ci potrebbe essere una qualunque proliferazione batterica? Evidentemente no, in base alle normative HACCP sulla conservazione degli alimenti deperibili, la soglia a cui si è tenuti a sottostare nel rispetto della catena del freddo è di 0 – +4°C, non 0 – +20ºC. E’ chiaro però che più ci si allontana al di sopra o al di sotto del range e più si va incontro ad un progressivo appiattimento della curva proliferazione dei batteri mesofili che ai fini di questa discussione consideriamo come quelli a rischio. In altre parole: la probabilità decresce parecchio.

Vale poi la pena precisare che i batteri mesofili sono un elemento endogeno agli alimenti. Sono tipici della vita stessa dell’uomo, degli animali, dell’acqua, del suolo, ecc, e sull’alimento ci devono essere portati. Sembra un paradosso ma siamo noi a contaminare la bistecca prima che avvenga il contrario. Per capirci: se tagliate a metà una bistecca appena sezionata non sarà contaminata a meno che questa non sia in decomposizione ma in quel caso staremmo parlando di batteri Saprofiti che si nutrono di proteine in ambiente umido e responsabili della putrescenza, che è tutt’un altro argomento e in ogni caso a quel punto ve ne sareste già abbondantemente accorti da altri fattori visivi e olfattivi. L’eventuale proliferazione batterica di cui stiamo parlando avviene quindi per contaminazione a livello superficiale. In altre parole affinché ci possa essere proliferazione batterica mesofita, bisogna che la carne abbia precedentemente subito una contaminazione. Non avviene a prescindere e una contaminazione avviene se chi effettua la somministrazione “toppa” qualcosa nel suo protocollo di prevenzione igienico sanitario, esistendo le normative proprio per garantire il consumatore da questo punto di vista. Quindi, sempre in termini di probabilità: non stiamo parlando della regola ma dell’eccezione, da dare tutt’altro che scontata (e ci mancherebbe…).

In aggiunta, se è vero che la famiglia dei batteri mesofili include quasi completamente quella dei batteri patogeni per l’uomo, non è (per fortuna) affatto da dare per assodato che se esiste una contaminazione batterica questa sia di natura patogena, anzi. Esistono infiniti tipi di batteri, molti dei quali ci accompagnano senza problemi durante la nostra vita, svolgendo addirittura un ruolo positivo. Batteri mesofili sono alla base delle fermentazioni utili alla produzione di formaggi, yogurt, birra e vino, lo sapevi?

In ultima istanza occorre sottolineare nel caso ce ne fosse bisogno, che sebbene oggi lo abbiamo un po’ dimenticato, il nostro corpo non è stato esattamente progettato per vivere sotto una campana di vetro. Oggi viene sterilizzato il ciuccio dei bambini non appena sfiora qualsiasi altro oggetto ma fino alla generazione successiva alla mia, il gattonare ed il mettersi in bocca “la qualunque” veniva considerato un normale processo di crescita, utile per sviluppare anticorpi. Certo, probabilmente allora si esagerava e alcuni potrebbero obiettare che è proprio grazie ad una maggiore attenzione alla prevenzione che si è riusciti ad allungare la vita media e a ridurre il tasso di mortalità in alcune fasce a rischio, ma non bisogna neppure esagerare nell’altro senso. Noi entriamo tutti i giorni in contatto con milioni di batteri di ogni tipo senza che nemmeno ce ne accorgiamo e il messaggio che viene passato di ineluttabilità sulle conseguenze del palesarsi di uno di loro è decisamente esagerato.

ESISTE UNA TEMPERATURA “TANA LIBERA TUTTI”?

I fermi sostenitori del Reverse di contro, ribattono con studi di proliferazione batterica e tabelle di pastorizzazione, sostenendo addirittura uno scenario esattamente contrario, ovvero che esiste una condizione ricreabile in ambito domestico che non solo non comporta proliferazione della carica batterica ma addirittura ne comporta l’abbattimento(!). Il limite dei 40°C segna come detto, la soglia oltre la quale i batteri mesofili iniziano a subire un danneggiamento con conseguente progressivo appiattimento della curva di crescita della popolazione batterica, ma è possibile persino invertirla? E anche in caso sia possibile, in che tempi potrebbe avvenire? Molto difficile dirlo, da parte di chiunque.

La vera realtà con la quale bisogna scendere a patti è il fatto che non esistono degli studi specifici e (nonostante quello che si vuole raccontare) nessuno di noi ha competenze e/o strumenti per formularne di propri. Le tabelle di pastorizzazione partono tutte da 54°C, ma ancora prima di questo, sempre in termini di stima della probabilità, è davvero possibile estenderne le conclusioni al nostro contesto? La logica direbbe chiaramente di no: vaglielo a dire tu alle aziende produttrici di conserve alimentari che potrebbero tranquillamente non sterilizzare nulla e sbattere tutto in un forno dell’Ikea (per dirne uno, eh) che tanto è uguale…

Per altro la pastorizzazione industriale avviene su range di temperature decisamente più alti, vorrà pur dire qualcosa. E ancora di più: supposto anche il concetto sia estendibile alla casistica specifica del Reverse, possibile che i tempi e l’efficacia di una tabella di quel genere possa essere copincollata e applicata integralmente in quest’ambito? Come detto, non esistendo studi specifici e non essendo nessuno di noi un microbiologo, si può dire tutto e il contrario di tutto, rimanendo sempre nella misura delle opinioni da bar dello sport. Se però vogliamo scegliere nella misura di una ragionevole probabilità, io direi di no: non me la sentirei di dire che mettere una bistecca in forno domestico a tot gradi per tot tempo, possa voler dire con certezza pastorizzarla.

Air Impingment Oven
Air Impingment Oven – Credits: naegele-inc.com

Un’altro argomento votato alla tesi della sterilizzazione è un presunto studio che dimostrerebbe l’abbattimento della carica batterica su scala logartitmica in forno. Effettivamente esistono studi di laboratorio volti più che altro a comprendere meglio le temperature di reazione di alcuni batteri (tra cui l’obiettivo evidente del progetto è la sola Salmonella, n.b.) specifici su un campione di carne macinata (non bistecche) mista a pollo inoculata di batteri attivi, che hanno determinato nella temperatura di 54°C uno dei range più efficaci in questo senso, in grado di debellare quasi completamente la popolazione batterica in poche ore. Gli esami di laboratorio, sono però sempre “ceteris paribus” per definizione, ovvero a parità di condizioni. E casa nostra non é un laboratorio. Nel caso specifico il test è stato effettuato in forni a ventilazione forzata di tipo industriale chiamati Air Impingment Oven in cui l’unica fonte di calore è l’aria, ovvero la carne trita veniva investita in questi tunnel da correnti molto forti di aria a temperatura controllata: lo scopo era quello di costringere i campioni ad una potente iper ventilazione alla temperatura idonea al test, per cercare di ottenere una scala di reazione su tempi accettabili. Sempre nella logica di una stima delle probabilità, estendere alla lettera gli stessi risultati ai forni domestici mi sembra oggettivamente quantomeno avventuroso. Inoltre se è vero che 54°C sembrerebbe essere il range con la resa migliore, è altrettanto vero che come detto, questo effetto è in diversa misura valido sempre, a partire dai citati 40 gradi.

La teoria dell’effetto positivo lascia quindi un po’ il tempo che trova, ma sapere comunque che si è in una soglia di ragionevole accettabilità del rischio, in cui la situazione non degenera ma al limite migliora è comunque un dato importante, anche se valido per un range di temperature molto più ampio dei soli 52°C.

Un’ultima considerazione riguarda poi il limite di estensibilità di tutti questi ragionamenti. Scendiamo a patti con questa cosa: in merito alle temperature di cottura, la USDA indica nella soglia di 70°C al cuore, il parametro in grado di dare garanzie sufficienti di abbattimento batterico, quindi nessun altra di quelle inferiori, che ci sia Reverse o no.

Esistono poi tra i patogeni possibili, alcuni batteri (per fortuna estremamente rari) come Campylobacter Jejuni o Escherichia Coli O157:H7 (uno dei 171 sierotipi conosciuti di E.Coli balzati alla cronaca per il caso “Jack in the Box¹ degli anni ’90), potenzialmente resistenti alle comuni indicazioni prudenziali suggerite per i processi di cottura e in alcuni casi persino alla surgelazione. Chiaro che in quel caso qualsiasi Reverse fatto a qualsiasi temperatura, come d’altronde qualunque altro metodo che non sia la cottura TOTALE sarebbe vano.

In conclusione ai fini della nostra stima delle probabilità, bisogna entrare nell’ordine di idee che non solo facendo Reverse ma anche semplicemente mangiando una bistecca al sangue accettiamo un piccolo ed ineliminabile grado di rischio: le semplificazioni del tipo “fai così e sei salvo, fai cosà e vai all’inferno” sia in un senso che nell’altro, sono appunto delle (estreme) facilitazioni e nella realtà non esiste una situazione a rischio zero, come per altro in quasi ogni azione della nostra vita.

¹ La citazione si riferisce ad un celebre quanto terribile caso di contaminazione, partito nel 1993 da 73 filiali della nota catena di fast food “Jack in the Box“. Definito come “il più ignobile caso di avvelenamento da cibo dell’era moderna“, il “Jack in the Box Outbreak” ha interessato 732 persone, di cui la maggioranza aveva un’età inferiore ai 10 anni, uccidendone 4 e causando danni permanenti a reni e cervello su 178 di queste. La causa è stata poi fatta risalire ad una partita di hamburger infetti all’origine. Questo nonostante gli hamburger spessi pochi millimetri fossero stati cotti regolarmente.



QUANTE ORE PUÒ DURARE UN REVERSE?

Anche in questo caso, il “pubblico” si divide in modo calcistico tra chi dice che 1 minuto di reverse vuol dire morte automatica e chi dice che può durare giorni e giorni senza alcuna conseguenza. É interessante sottolineare come il pensiero comune voglia la proliferazione batterica nel reverse searing o ovunque, simile ad un pulsante ON/OFF che si attiva alla presenza di determinate condizioni. La realtà è che il suo andamento non è regolare ma avviene per fasi, tra le quali la crescita segue una curva a “campana”. Un grafico atto a descriverlo ha però una scala misurata in ore e non minuti.

Su questo, devi sapere che i test di coltura batterica nei laboratori di analisi presuppongono di incubare il tampone a circa 37º C per  48h e poi ulteriori 24h a 25º C, quindi la bellezza di tre giorni pieni per poter essere certi dell’innesco. E il tutto avviene in un ambiente di coltura ricco di specifici nutrienti, studiato appositamente per risultare ideale allo scopo… Questo perché non siamo in “Virus Letale“: non si vedono i batteri sdoppiarsi a vista al microscopio e il grado di reattività è un pochino più “fiacco” di come ci viene raccontato.

In una fase iniziale chiamata Latenza, i microrganismi subiscono una stasi dovuta all’adattamento all’ambiente esterno e la proliferazione è praticamente nulla. Segue poi una fase di Crescita Esponenziale o Logaritmica con una curva verticale e poi una Stazionaria, di stasi al livello massimo di proliferazione in cui la curva torna ad appiattirsi. L'”esplosione” della popolazione batterica su una bistecca quindi non è immediata. Ma quanto dura esattamente la fase di Latenza? Non esiste una regola fissa, basta cercare in rete per rendersi conto di come le varie misurazioni, pur seguendo lo stesso andamento, abbiano scale di valori significativamente diverse. Dipende quindi dal tipo di batterio e da altre condizioni che affrontiamo poi nel punto seguente, ma quello che conta è che troviamo alcune misurazioni in cui la fase di Crescita Esponenziale inizia dopo 2 ore, altre in cui ne servono fino a 6, altre ancora in cui si parla di periodi addirittura più lunghi. Però per noi questo conta poco, il concetto che ci interessa evidenziare in termini di stima delle probabilità sul Reverse è che abbiamo un margine sul quale poter lavorare e anche nelle ipotesi più pessimistiche, abbastanza significativo.

Crescita Batterica Reverse
Credits: Area-C54.it

Crescita Batterica Reverse
Credits: Area-C54.it

Proliferazione E.Coli
Credits: slide-player.it

In altre parole, la famosa bistecca fuori frigo per 2 ore non è una bomba in procinto di esplodere, ma un deposito sul quale (nel caso siano presenti, naturalmente) alcuni batteri sonnacchiosi si stiracchiano, cercano di capire dove sono e si bevono tre o quattro caffè e cornetto, prima di cominciare a connettersi con il mondo e dire “vabbè dai, iniziamo a darci da fare…“.

C’è inoltre un altro fattore importante da considerare: abbiamo detto che dopo tre giorni di sollecitazioni in provetta abbiamo trasformato durante l’analisi di laboratorio una contaminazione infinitesima di un campione in un’esplosione batteriologica. Bene, ma cosa succederebbe se quel tumulto brulicante di batteri venisse ingerito da un essere umano in buona salute? Con ogni probabilità nulla. Eh si, perché non basta che il batterio sia presente ma deve anche essere presente in quantità sufficiente a mettere quantomeno in difficoltà il nostro sistema immunitario e questo è il motivo per cui in qualsiasi casa, sebbene ci siano quotidianamente una o più violazioni palesi delle normative che vengono considerate basiche nella somministrazione pubblica, non ci accade assolutamente nulla. Ogni batterio ha una propria soglia di “significatività” per riuscire ad avere un qualche effetto su un individuo medio in buono stato di salute e questo limite decisamente più alto di quello che pensiamo.

MA NEL NOSTRO CASO COSA SUCCEDE?

Un’altra cosa che incide sulla nostra stima delle probabilità (e non poco), è il cosa poi dobbiamo farci con questa presunta carne contaminata. Intendo: mica dobbiamo farci una tartare… Come specificato, la velocità di proliferazione batterica è influenzata da una serie di condizioni. Tra le tante ce ne sono tre che risultano per noi abbastanza significative e che sono in grado di allungare considerevolmente le tempistiche della fase di Latenza, sebbene non si possa sapere a priori di quanto. La prima è certamente la sapidità, ovvero la presenza di sale (qualcuno ha detto Rub, Dry Brining e Salamoia?). La seconda è il livello di acidità (qualcuno ha detto marinata?). Sia la salagione che gli acidificanti sono per altro metodi conservativi della carne molto conosciuti, la prima antichissima, i secondi più moderni.

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L’ultimo fattore ad influenzare la proliferazione è ovviamente, la temperatura. In particolare, quella di cottura di una bistecca è talmente alta da disintegrare di fatto qualsiasi batterio presente sulla superficie e quindi, tutti i batteri mesofili che si possano essere riprodotti durante la fase enzimatica salvo casi particolarissimi come quelli citati al punto precedente.

Generalmente una delle critiche che sento più muovere a questo punto, è che “se anche i batteri muoiono i ‘patogeni’ rimangono. Con il termine “patogeni” in realtà si dovrebbero intendere i “batteri patogeni”, che si distinguono giustamente per essere portatori di malattie a cui l’uomo è sensibile ma essendo pur sempre batteri, (supposto sempre che ci siano, vale sempre la pena ricordarlo) fanno nella stessa misura la medesima fine di tutti gli altri: bruciati dal calore elevatissimo delle braci. Probabilmente chi muove quest’appunto si riferisce in realtà alle tossine, molecole nocive emesse dai batteri, che si distinguono in Endotossine, tossine microbiche parti integranti della cellula batterica, vere responsabili degli effetti patogeni sull’uomo e che scaturiscono dalla lisi del battere, ovvero dalla sua morte e le Esotossine, sostanze liberate dal batterio durante la sua attività per predisporre i tessuti all’aggressione virale. Il punto però è che le Endotossine batteriche vengono emesse solo da alcune categorie di batteri (i cosiddetti Gram negativi) ed è vero che sono molto più resistenti al calore rispetto alle Esotossine e ai batteri stessi ma comunque ragazzi, anche loro resistono al massimo fino a 200°C (fonte Gruppo Interdisciplinare Chimica dei Radiofarmaci). Qui stiamo parlando di 250°C, 300°C o anche 350°C o più… Eddai….

A questo punto della discussione arriva generalmente la parte che preferisco: “Ok, va bene, quindi muore qualunque cosa. Ma allora tu mangi un letto di cadaveri??. Un letto di cadaveri? Seriamente? Ma hai presente cosa succede alle fibre di superficie di contatto della bistecca che sono grandi alcuni millimetri, quando rimangono attaccate alla griglia? Vengono letteralmente carbonizzate. Caspita, a quelle temperature già si corre il rischio di bruciare un corpo delle dimensioni della bistecca intera, figurati cosa possa rimanere di un batterio di dimensioni inferiori ad un micron… Volendo ricondurre il tutto in termini statistici, diciamo che un qualsiasi cosa (“supposto ci sia“, l’ho già detto?) che si trova sulla superficie della bistecca ha una probabilità davvero, davvero, davvero bassa di esserci in qualsiasi forma anche dopo la cottura. Azzarderei infinitesima, ai limiti del nullo.




IL REVERSE NON SI PUÒ FARE PERCHÈ LO DICE LA ASSL

Due parole poi andrebbero spese anche sul continuo riferimento che sento fare su questi argomenti alla normative igienico sanitarie degli esercizi pubblici. Che di per se non è sbagliato, ma le considerazioni conseguenti andrebbero quantomeno ritarate sulla diversa misura dell’ambito domestico.

Le norme in questione infatti devono essere considerate in rapporto al loro specifico contesto: quello di una produzione continuativa e di massa, in cui si alternano cicli continui di produzione, in condizioni di evidente ipersollecitazione, al fine di generare un prodotto-servizio potenzialmente destinato a qualsiasi categoria di cliente, comprese quelle a rischio come bambini, anziani, malati consapevoli ed inconsapevoli, ecc. Ma più ancora di questo, le regole menzionate non sono elementi a loro stanti ma sono strettamente legate ad una serie di altri vincoli a cui è assoggettato chi fa somministrazione.

Ti faccio un esempio. In ambito ristorativo ad esempio è punita con estremo rigore la rottura della catena del freddo, ovvero se durante tutta la trafila che corre tra il produttore e il consumatore finale, il prodotto sosta anche solo per un tempo minimo al di fuori del range 0 – +4°C lo si valuta elemento sufficiente affinché il cibo possa in qualche misura essere a rischio di degradazione batterica, anche se poi viene riportato alla temperatura corretta. L’esercente è obbligato quindi a possedere ed utilizzare una serie di costose attrezzature e procedure, utili proprio a garantire la continuità della catena del freddo. In ambito ristorativo poi è obbligatorio procedere con cicli precisi di detergenza, disinfezione e sanificazione (i tre concetti non sono sinonimi) usando detergenti specifici, obbligatoriamente su tavoli in acciaio facilmente pulibili, in ambienti piastrellati con ceramiche idonee, dotate di sgusci negli angoli che minimizzino il rischio di depositi di sporco, con taglieri e tavoli se non addirittura interi locali dedicati a ciascuna categoria merceologica, con sterilizzatori UV per i coltelli, con lavandini a pedali che evitino il contatto per mano di operatori opportunamente certificati e in possesso di guanti, grembiuli, calzature, cappellini igienicamente a norma.

Post Batteri RS 6Focalizzato questo concetto, adesso ripensa a casa tua: quando vai a fare spesa al supermercato il sabato di luglio, prendi la tua bistecca nel reparto macelleria, magari quella confezionata e posta davanti alla fila sullo scaffale del murale refrigerato proprio sotto la luce al neon, fai una coda interminabile in cassa, carichi la spesa in macchina a 40°C, prosegui fino a casa per poi caricare tutte le borse a mano in ascensore, le riscarichi sull’uscio di casa e da questo in cucina, giochi a Tetris per posizionare pacchetto per pacchetto in un frigo due stelle che in 5 minuti prende 8 gradi e ce ne mette 30 a recuperarli, riprendi il tutto in mano il giorno dopo per il pranzo domenicale, che preparerai sul tuo bellissimo tavolo in legno di rovere, poggiandoci sopra il tagliere che tua moglie ha lavato con acqua e Svelto l’ultima volta che lo hai usato e riposto nella mensola della vostra cucina rivestita di piastrelle in sasso Verona e con le fughe porose di mezzo centimetro…

Lo so, sto forzando un po’ il concetto, ma è necessario per farti capire di entrare serenamente nell’ordine di idee che tutto quello che cucini ogni giorno, con ogni probabilità ha gia abbondantemente violato tutti i protocolli HACCP esistenti. Non per questo significa che tu debba finire ricoverato per intossicazione alimentare… Come si diceva sopra, non siamo stati “progettati” per vivere sotto una campana di vetro ne per mangiare in provetta e siamo un “pochino” più abituati alla presenza di batteri (diciamolo ancora una volta: “supposto che ci siano“) di quanto pensiamo.

Le normative sull’igiene alimentare sono volte a tutelare qualsiasi tipo di clientela, dal baldo giovanotto di 20 anni all’ottantenne immunodepresso uscito il giorno prima dal reparto isolamento di un Centro Trapianti e devono obbligatoriamente tenere conto del fatto che fare quel tipo di lavorazioni tutti i giorni, tutto il giorno e usando gli stessi strumenti, amplifichi a dismisura il rischio ma soprattutto l’entità potenziale della proliferazione ed è quindi giusto e doveroso tentare di portarlo il più possibile vicino allo zero. Lo stesso arco temporale dei test di proliferazione batterica che come dicevamo sopra vengono sviluppati in tre giorni, dimostra però come l’obiettivo dei controlli (e delle normative) non sia misurare una contaminazione estemporanea, quanto evidenziare l’eventuale trascuratezza di igiene negli esercizi alimentari, che prolungata nel tempo porta in condizioni di temperatura ambiente, allo sviluppo di una coltura patogena. Di fatto quindi, l’applicazione si/no, bianco/nero delle regole in ambito professionale non tiene conto volutamente (e giustamente) dei gradi di tolleranza che però per fortuna, di fatto esistono. La scadenza di uno Yogurt esposto al pubblico ad esempio comporta pesanti sanzioni e fino a pochi anni fa addirittura conseguenze penali per l’esercente o per il suo preposto, come se si trattasse di un attentato alla salute. Ma nella pratica uno yogurt non è una bomba a orologeria: se è dato per buono alle 23.59 del giorno di scadenza sarà buono nella stessa misura alle 0.01 del giorno dopo.

Il discorso quindi del tipo “Lo dice la ASSL quindi…” non sta in piedi. In modo consapevole la ASSL lo sta dicendo alle attività commerciali, non al pubblico privato e con l’obiettivo evidente di minimizzare il più possibile gli errori in attività ad altissimi volumi e quindi per loro natura a più alto rischio. Cosi non fosse, il comportamento igienico sanitario domestico non sarebbe oggetto di “consigli” ma di “obblighi” con tanto di sanzioni. Capiamoci bene: non ti sto dicendo che da domani puoi fare la scarpetta con la bistecca sugli zoccolini della cucina, che tanto non succede nulla. Ti sto dicendo che a livello domestico il comportamento igienico sanitario viene delegato al buon senso delle persone, partendo dal presupposto che su un individuo sano un comportamento mediamente ragionevole ha un’ottima probabilità di non comportare conseguenze, mentre che un soggetto a rischio debba essere consapevole di dover prestare qualche attenzione in più ma senza per questo doversi rinchiudere in un polmone d’acciaio.

E QUINDI IN TERMINI DI PROBABILITÀ, CHE SI FA?

Facciamo un recap: affinchè un Reverse Searing possa creare problemi c’è bisogno che in un esercizio pubblico assoggettato alle comuni norme igienico sanitarie qualcosa vada storto e che ci sia una qualche proliferazione batterica. Che il batterio si trasmetta per contatto al tavolo. Che il personale decida di fregarsene e di non pulire-sanificare il tavolo o quantomeno di non farlo seguendo le direttive HACCP. Che il macellaio poggi proprio li la vostra bistecca e che il batterio vi si trasmetta. Che voi compriate proprio quella bistecca. Che il batterio sia mesofilo e di natura patogena. Che le condizioni attraverso il quale esercitate il Reverse Searing siano sufficienti ad innescare una proliferazione batterica. Che eventuali trattamenti di seasoning utilizzati non abbiano alcuna incidenza. Che il livello di batteri presenti abbia raggiunto una quantità significativa per il corpo umano. Che il batterio non venga sterminato dalla successiva cottura ad altissima temperatura. Ed infine che questo batterio non venga sopraffatto dal nostro sistema immunitario.

Tutto questo è indubbiamente possibile ma la vera domanda è: quanto è probabile?

In conclusione, come detto in molti altri post, qui non voglio dirti come devi relazionarti con il timore di carica batterica del Reverse Searing. Si tratta di valutazioni personali strettamente correlate alla tua personale percezione del grado di rischio. Non pensare nemmeno di affidarti completamente alle informazioni e ai pareri random. Pensa che praticamente tutte le persone a cui mi sono rivolto per la stesura di questo articolo, che praticano la professione in ambito medico/ingienico/sanitario e che quindi hanno una formazione di settore piuttosto approfondita, con lauree dedicate, una volta confermate le informazioni di uso più comune riportate nei vari punti, quando tentavo di approfondire ulteriormente l’argomento, correttamente mi rispondevano “su questo però dovresti interpellare un microbiologo“. Su un argomento così particolare e specifico nemmeno loro si sbilanciano oltre il livello delle informazioni di pubblico dominio, figuratevi come possiamo arrogarci la presunzione di farlo noi…




LA PROVA DEI TAMPONI AMBIENTALI

Ma veniamo alla nostra prova sul campo che non vuole essere nient’altro che un gioco e uno spunto di riflessione.

I tamponi che abbiamo utilizzato misurano la carica batterica attraverso una procedura tutto sommato semplice. Una provetta sigillata contiene una paletta a due facce, ciascuna coperta da una sorta di denso gel resinoso, colorato diversamente in modo da poter distinguere una dall’altra. La prima di colore giallo contiene il terreno di coltura batterica mentre la seconda di colore rosso contiene quello per muffe e funghi. Quando la provetta viene aperta, la paletta deve essere strofinata sulla superficie da rilevare per poi essere richiusa e lasciata in incubazione ad una rigorosa temperatura di 30°C±1°C per un periodo di 72 ore. Il campione positivo presenta una puntinatura colorata a contrasto e più questa é fitta e più indica una carica totale elevata, in base alla tabella riportata nelle istruzioni. Nel nostro caso utilizzerò solo la faccia gialla, ovvero quella della rilevazione della carica batterica totale.

Reverse Tabella Test

Io avevo in mente di utilizzare i test in maniera impropria: il mio obiettivo era di capire quale potesse essere la velocità di proliferazione batterica a fronte di una situazione di ipersollecitazione e non semplicemente avere un responso del tipo positivo/negativo ottenuto attraverso lo sviluppo anche della minima presenza di un batterio. A dire il vero strumenti in grado di dare una rilevazione batterica puntuale anziché conteggiata come evoluzione nel tempo sotto coltura esistono, ma il costo (850€ circa) non era chiaramente compatibile con un test della nostra portata… Ho provato a chiedere a chiunque un parere per capire in che misura le provette di questo tipo si prestassero ad essere utilizzate allo scopo che avevo in mente, partendo da medici generici e medici specialisti, fino ad un laboratorio di analisi della zona dove vivo e addirittura all’azienda produttrice. Le risposte sono state piuttosto evasive e sostanzialmente di due tipi: “dovresti chiedere ad un microbiologo” oppure ” la procedura dice 30°C per 72 ore. Perché non ti attieni a quella?“.  Questo ci conferma che siamo in un ambito talmente particolare da necessitare di seri (e probabilmente costosi) test specifici di laboratorio, in assenza dei quali nessun professionista se la sente di sbilanciarsi. Mi viene un po’ da ridere a ripensare a quanto facilmente invece si esprimano sentenze su Facebook…

Poco male, non avendo io competenze specifiche e non potendo godere di supporto esterno, cercherò semplicemente di esasperare il più possibile il test e procedere per osservazione logica. Senza pretese, cosi, giusto per giocare e vedere che succede. Ho proceduto in questo modo:

Reverse 2B

Ho voluto volontariamente contaminare batteriologicamente una bistecca nella massima misura di cui sono stato capace, una condizione che in un Reverse comune non si verificherebbe chiaramente mai. Lo scopo era di tentare di violentare il test facendolo reagire il più velocemente possibile. Ho quindi acquistato una bistecca confezionata in skin e l’ho lasciata volutamente scadere in frigo. Hai presente quando gli umori iniziano vagamente a diventare verdini e l’odore a non essere esattamente dei più invitanti? Ecco quella roba li. Devi sapere che io vivo a fianco di un bosco e sul terrazzo della mia cucina transita ogni genere di piccolo animale, oltre naturalmente ai gatti dei vicini. Ho strofinato quindi la bistecca su entrambi i lati sul pavimento del mio portico, proprio vicino alla pianta mezza morta a causa delle frequenti deiezioni liquide dei suddetti animali. Ok dovrebbe essere stata contaminata a sufficienza…

Reverse 1
Scaduta da 2 giorni
Reverse 3
Abbastanza contaminata?

Come detto, il Reverse ha una serie di condizioni che tendono ragionevolmente ad attenuarne il rischio ma io ho deciso di non concedergliene nemmeno una: stante che quantomeno sulla carta il Reverse più a rischio é quello a 30°C ma quel range di temperatura é anche quello a cui andrebbe fatta la coltura, ho semplicemente simulato le condizioni “in umido” della fase enzimatica. Siccome l’acqua ha una conducibilità termica migliore dell’aria ho utilizzato come “incubatore” un roner impostato a 30°C esatti. Ho tamponato la bistecca strusciando per bene il gel sulla superficie, ho sigillato la provetta, l’ho arrotolata in un sacchetto gelo chiudendola e legandola con un elastico ad un peso di acciaio e poi ho sprofondato il tutto nell’acqua a 30°C fissando la sveglia per controllare regolarmente lo stato del tampone ogni ora.

Reverse 4
Provetta sigillata
Reverse 5
Roner a 30°C
Reverse 6
Pronti all’immersione

Ho voluto però concedermi anche una prova del nove: dopo averla “tamponata”, ho messo la bistecca nel mio forno dentro una vaschetta di stagnola, dopo averlo impostato alla temperatura più bassa che mi ha consentito (38°C-43°C in oscillazione, rilevati su termometro a sonda) e l’ho lasciata in Reverse esattamente per lo stesso tempo del tampone. Il mio obiettivo é stato quello di cercare di creare due condizioni: la prima di una situazione ideale al batterio (supporto di coltura ad hoc, presenza massiccia di contaminazione, un ambiente di coltura bello “umidiccio”, ecc.) ed una seconda in cui fare un “mezzo passo” in direzione di un Reverse comune, semplicemente andando a togliere l'”aiutino” dell’ambiente umido, sostituendolo con l’aria asciutta e ventilata del forno nelle prime ore di Reverse, per capire se anche solo quest’ultima potesse incidere in qualche modo a parità di altre condizioni (quindi senza prendere in esame rub, dry brining, ecc.). Reverse 7Mi sono quindi posto come obiettivo di effettuare la misurazione del test “in umido” considerando come sufficienti le prime 3 o 4 ore di analisi, ovvero il tempo che io consiglio sufficiente per un Reverse, per poi “tamponare” la bistecca con una nuova provetta di test, aggiungendo anche quest’ultima all’acqua del roner seguendo le stesse modalità dell’altra.

Bene, vediamo come é andata:

Il campione “umido” è stato inserito nel Roner alle 16.15. Un’ora più tardi è avvenuto il primo controllo: assolutamente nulla di percettibile. Dopo un’ulteriore ora il secondo controllo: ancora nulla. Alla terza ora altro controllo: niente. Alle 20.15 il quarto controllo: niente di niente, il tampone appare ancora perfettamente giallo canarino. Ormai é buio, decido che può essere sufficiente per ciò che volevo sapere.

Reverse 8
Reverse 9
Reverse 10
Reverse 11

Procedo poi come anticipato ad effettuare il tampone sulla bistecca in forno prima di poterla buttarla definitivamente nella spazzatura. Sigillo la provetta e l’aggiungo all’acqua del roner lasciandolo proseguire ad oltranza. La mattina dopo alle 8.00, quindi dopo 16 ore dall’inizio dell’esperimento, il campione “umido” presentava finalmente una bella e fitta puntinatura rossa.

E il campione tamponato dalla bistecca in Reverse? Assolutamente immacolato… Stessa bistecca, stesso test, stesse condizioni, stesso momento.

Reverse 12
Campione “Umido”

Reverse 13
Campione in Reverse

CONCLUSIONI

So cosa stai pensando: “perché non fai una rilevazione puntuale ogni ora del campione in modo che io possa sapere fino a quante ore possa spingere il Reverse nella peggiore delle condizioni?

NO. Non cadere anche tu in questo errore. Tutto questo articolo vuole dirti esattamente il contrario: allo stato attuale, sia in positivo che in negativo non esistono studi in grado di analizzare tutti i fattori che possono incidere sulla proliferazione batterica in un caso cosi specifico come quello di un Reverse Searing e meno che meno a seguito di un’esperimento-giocattolo come questo. Da questo test evidentemente non può essere tratta alcuna considerazione credibile (e ci mancherebbe altro fosse cosi facile…), TRANNE probabilmente le due che mi interessava far passare:

  1. Esattamente come per lo yogurt scaduto da un minuto, supposto anche la bistecca sia in qualche misura contaminata, non c’è alcuna bomba batteriologica che scoppia come invece si vede spesso sostenere, ma siamo di fronte ad un processo sonnacchioso ed incerto del quale bisogna stimare le probabilità che in ogni caso saranno tutt’altro che altissime.
  2. I fattori che possono ridurre un rischio statistico già di per se non particolarmente alto sono molti. Nessuno é in grado di stimarli o misurarli ma indubbiamente ci sono. E contano. Questo senza la necessità di dover chiamare in causa una specifica e magica temperatura X, e soprattutto senza che invece una temperatura X-1 o X+1 possa vanificare alcun ché, come invece si sostiene in altri casi.

L’intento di questo come di altri post in passato, vuole essere semplicemente quello di riportare l’attenzione su una visione più equilibrata quando ho la percezione che si stia andando verso derive eccessive. Da qui in poi sta a te scegliere.

Nessuno potrà dirti esattamente cosa succede in un RS salvo effettuare costosi studi specifici ad opera di persone o enti qualificati a farlo, cosa che probabilmente non avverrà mai perchè non esiste un’interesse pubblico sufficiente a giustificarli. Quello che nel frattempo possiamo fare è limitarci ad approcciare il Reverse in base a delle stime di buon senso e con la medesima razionalità con la quale delle persone mature decidono o meno di attraversare la strada su un tratto trafficato e nell’ora di punta: al telegiornale ci sarà sempre notizia della madre con il bambino piccolo falciato dal pirata ubriaco ma quanti episodi del genere succedono su 56 milioni di persone che attraversano le strade tutti i giorni? Il punto quindi è che non é certamente sensato smettere di attraversare la strada ma semplicemente cercare di farlo con le ragionevoli attenzioni dovute e consapevoli che come su qualsiasi cosa, il rischio-zero non esiste. Per il Reverse è esattamente la stessa cosa.

Ognuno di voi si dia quindi la propria risposta e decida per se ma lo faccia consapevole di tutti gli aspetti in gioco.

Buon Reverse a tutti!

 

Fonti:
nationalgeographic.it
area-c54.it
gicr-associazione.it
liofilchem.net

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4 Comments

  • Ottimo articolo e “prova di laboratorio”. Sono stato accusato dai soliti sapientoni di FB di auto avvelenarmi per aver aver tenuto una Rubia da 1,3 kg per tre ore a 40°. ho risposto che non credevo che fosse così e mi hanno detto la famosa frase, tienila a 52° come dice HACCP. Ho lasciato correre, ““NEVER ARGUE WITH STUPID PEOPLE. THEY WILL DRAG YOU DOWN TO THEIR LEVEL AND BEAT YOU WITH EXPERIENCE.””. Però avrei una domanda. Se ho una bella Rubia o simili congelata, come dovrei agire per fare un reverse searing? La scongelo a t ambiente e poi 35 ° per una paio di ore oppure vado subito di t reverse? Per ogni kg di congelato a -20 quanto tempo devo aggiungere? al tempo di reverse? Last question, se congelo della carne, meglio metterla in una busta sotto vuoto e poi lasciarla in quella busta per tutto il t di scongelamento e reverse o meglio tirarla fuori dalla busta ed esporla all’aria? (secondo me meglio lascarcela) Grazie

    • Ciao Vincenzo,
      vedi il punto alla fine è solo quello di non volere (dovere) arrogarsi il diritto di sostituirsi al libero arbitrio e all’intelligenza delle persone. Potenzialmente ogni cosa che facciamo ha un rischio, compreso attraversare la strada la mattina. La cosa che nessuno fa (e questo era il tentativo dell’articolo) è di dare degli elementi oggettivi ed una misura di quanto grande possa essere questo rischio, per consentire una valutazione che è e deve essere strettamente personale. Poi ci sarà sempre quello che si fa il bagno di amuchina quando rientra a casa e quello che invece si fa zero problemi, con tutte le vie di mezzo possibili ed è giusto che sia cosi. L’importante è che uno scelga in modo consapevole e non perchè gli vengono sottratte informazioni utili ad avere un quadro veritiero. Sono molto felice tu ne abbia colto il senso 😉 (y)
      P.S. Per la cronaca comunque digli pure che il cosiddetto HACCP è solo un piano di autocontrollo che rientra in un più ampio panorama di norme di tutela ignieco sanitaria legate alla somministrazione (per capirci: mantenere uno yogurt fuori dal frigo per un’attività pubblica era vietato anche prima che introducessero l’haccp che ha solo relativamente pochi anni di vita…) e in ogni caso quelle normative NON autorizzano affatto il mantenimento della carne a 52°C. Si tratta solo di una loro libera interpretazione derivata incollando a piacimento tra loro le norme esistenti con i principi teorici della pastorizzazione, senza alcuna logica ragionevole 😉

      Venendo alla tua domanda:
      A mio parere il risultato migliore lo avresti prima decongelando la bistecca e poi iniziando l’iter. E (sempre a mia esperienza) il miglior scongelamento è sotto vuoto in acqua fredda, coerentemente con i risultati ottenuti da uno studio svedese in merito che riporto nel mio libro Universo Bistecca: l’acqua è un miglior conduttore termico dell’aria e a contatto con un solido ghiacciato tenderà allo zero (rispetto ai 4°C del frigo) con un rischio di degradazione batterica molto più basso, oltre a tempi più veloci, seppur compatibili con i vantaggi di un decongelamento lento. Io riempirei un catino (o un lavandino, quello che vuoi) di acqua fredda, ci lascerei la bistecca fino a quando non diventa malleabile, senza impazzire a guardare la temperatura e poi inizierei il tutto. Ci vorranno circa 2 ore in acqua, massimo 3.

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