L’italianizzazione dei Gyoza giapponesi
Se sei un griller e ti dico due parole, “pasta” e “barbecue”, a te cosa viene in mente? Al 99% hai un approccio canonico a questo mondo penserai a degli spaghetti cotti nel Wok. Non sbaglio, giusto? Bene, allora ti rivelo due piccole ma significative verità. La prima: lo stai facendo semplicemente perchè “cosi fan tutti”, senza capire che se stai replicando in versione outdoor ciò che potresti fare moooolto più comodamente sul fornello di casa, solo per il gusto di dimostrare che “SIII PUOOO FAREEE!!!”, forse sarebbe il caso di porsi più di qualche domanda. Una cottura di questo tipo ha senso solo se apporta un valore differenziale, nel nostro caso attribuibile alla cottura barbecue (nella sua accezione estesa), come predico da sempre. La pasta nel wok va bene ma non si fa come la fai tu, anche se non è questo di cui vi volevo parlare oggi, rimandando l’argomento ad un altra occasione. Passiamo piuttosto alla seconda verità: anche se fatta come la intendo io, la cottura nel wok NON E’ il metodo migliore per valorizzare la cottura barbecue sull’ingrediente “pasta”.
Curioso eh? Vedrai, il metodo che dona alla pasta, specie se ripiena, il contributo barbecue più incisivo, quello che magicamente la fa diventare qualcosa di veramente e completamente diverso è mutuato dalla cultura giapponese o più in generale, orientale. Te lo presento.
Spero che Anna & Daniela mi perdoneranno se oggi sconfino un po’ nel loro territorio gastronomico naturale: vedrete ragazze, è per una buona causa. Se tu che stai leggendo non hai mai consultato i loro spettacolari articoli sul Barbecue Fusion, ti consiglio di redimere subito i tuoi peccati Creativi e di correre immediatamente a sciacquare i tuoi panni nel Mekong provando le loro ricette. In questo percorso probabilmente ti potrà aiutare questo articolo, che apporterà una nuova tecnica alle frecce disponibili al tuo arco.
Sei mai stato al ristorante giapponese? Immagino di si. Ti sarà quindi capitato almeno una volta di imbatterti nei Gyoza, dei ravioli tradizionalmente ripieni di carne di pollo o maiale (ma anche di pesce o crostacei volendo) e piastrati, morbidi e succosi ma con una deliziosa e croccante crosticina. I Gyoza sono la versione giapponese dei Jiaozi cinesi, che descrivono però più precisamente la particolare tipologia di ravioli arricciati e che possono essere cotti in molti modi: bolliti, al vapore, brasati… La variante nipponica punta decisamente a quest’ultima versione che nello specifico in Cina prende il nome di Jiânjiâo. Letteralmente il termine significa “fagottini fritti asciutti”. Tienilo bene a mente perchè questo deve essere il mantra ispiratore della tecnica che ti illustro oggi.
Il Gyoza è un raviolo arricciato di pasta spessa e morbida che viene piastrato ad alta temperatura sul lato piatto e poi finito per qualche minuto a vapore nei tradizionali cestini Bentô, prima di essere servito accompagnato da un intingolo a base di salsa di soia. E’ una tecnica dal risultato estremamente interessante, estremamente caratterizzabile attraverso i principi della cucina barbecue ma soprattutto se ti fermi a rifletterci, risulta applicabili con i dovuti accorgimenti a qualsiasi tipo di pasta, non solo ai Gyoza. Ho provato quindi nel tempo ad italianizzare il concetto con risultati davvero sorprendenti, tanto da includere diversi piatti realizzati con questa tecnica nei menù dei miei barbecue catering.
La Tecnica
Il mio obbiettivo era quello di poter godere di tutto il sapore apportato dalla cauterizzazione ma di godere di una consistenza della pasta meno “flaccidina” rispetto al Gyoza tradizionale e più compatta, caratteristica questa che a mio avviso si integra meglio con la pasta italiana, in particolare quella ripiena. Ma soprattutto volevo essere libero, non appena terminata la cauterizzazione, di giocare da li in poi con la costruzione della ricetta di cui l’aggiunta del condimento è forse l’accezione più evidente.
Nella mia tecnica della Pasta Piastrata ho così proceduto ad invertire i passaggi: prima un’intenerimento e precottura della pasta e dell’eventuale suo ripieno e poi piastratura. Tranquilli, adesso ve la spiego meglio.
Tecnicamente il tutto consiste nel fare “All In” su un unico obiettivo: Maillard. L’ideale è quindi un effetto “Total Searing” veloce che massimizzi l’effetto, senza asciugare la pasta e renderla secca. Nelle proporzioni tra le azioni di calore sarà quindi da ricercare un forte sbilanciamento verso la conduzione, ed ecco la ricerca di un supporto ad forte accumulo termico come una piastra o una padella in ghisa. Tra gli elementi attraverso i quali poter enfatizzare il suo contributo alla cauterizzazione, oltre naturalmente all’intensità della temperatura di esercizio espressa in questo caso attraverso il calore della piastra che dovrà essere potente ma non da “disintegrazione” (la pasta contiene pur sempre amido!), la presenza di un condimento grasso che lo veicola sulla superficie di contatto della pasta risulta determinante.
Gli Effetti
Il primo aspetto del nostro progetto di cottura da chiarire quindi è proprio la consistenza: la pasta piastrata deve essere morbida ma non bollita. Per capirci, non si scioglierà in bocca con la semplice pressione della lingua ma andrà “addentata”. Di contro non deve essere asciutta, specie nel ripieno, ne ancor meno secca. E’ una consistenza particolare che contribuisce a definire le caratteristiche specifiche di questa tecnica. Il mio consiglio per ottenere un buon risultato da questo punto dei vista è quello di prestare particolare attenzione alla qualità della materia prima perchè poi ve la ritroverete tutta nel piatto più ancora di quanto avvenga con altre cotture. Chiaro che il massimo è la pasta fresca ma va bene anche quella confezionata purché si parli di un buon prodotto, morbido anche da crudo. Il classico “raviolo” del discount, che sembra di plastica, non essendo qui destinato ad essere immerso in acqua avrà comprensibilmente qualche difficoltà a raggiungere i target che ci siamo imposti. Parliamo naturalmente sempre di pasta non “secca”. Se ad esempio optate per delle lasagne, non utilizzate la versione secca in scatola ma quella morbida in ATM del banco frigo.
L’altro elemento indispensabile è ovviamente la croccante cauterizzazione esterna che contrasta con la tenerezza dell’interno. Da questo punto di vista ho però esteso nel tempo il possibile risultato a due declinazioni possibili. Il primo è molto simile a quello del Gyoza, quindi una netta e brunita crosticina che caratterizza il punto di contatto della pasta con la superficie di cottura. La soluzione migliore in questo senso è per mia esperienza una padella in ghisa tipo Lodge o similari. Il secondo è invece caratterizzato da una cauterizzazione più diffusa ed una superficie che sembra quasi “soffiata”, fritta. Per farvi un’idea potete vedere l’effetto su questa foto, uno scatto rubato da un mio evento di qualche anno fa. La superficie ideale a questo scopo è invece a mio parere il vassoio forato di cottura basso, quello che di solito si usa per le verdure o i crostacei. La differenza operativa è sostanziale: nel primo caso si tratta di una cottura statica, in attesa che si crei la crosticina, mentre la seconda è una cottura dinamica, nella quale la pasta viene rigirata su se stessa di continuo.
La Procedura
La tecnica della Pasta Piastrata si basa su una doppia fase ma nel complesso si tratta di una procedura semplice e molto veloce. Nella prima, la pasta fresca viene fatta riposare in un contenitore dentro il quale avremo versato del burro fuso che avremo fatto sciogliere in precedenza nel dispositivo di cottura. Nella seconda la pasta viene piastrata per pochi minuti fino ad ottenere il risultato desiderato per poi procedere alla costruzione del piatto attraverso l’aggiunta del condimento o in base a quanto previsto dalla ricetta.
Tutto chiaro? Proverò a fugare gli eventuali ultimi dubbi entrando più nello specifico delle singole fasi e aggiungendo qualche piccolo tip dettato dall’esperienza:
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1. Riposo nel Burro
Prevedete un set up diretto centrale e in una stagnola fate sciogliere il burro che vi serve. Vi consiglio di dotarvi di un contenitore che venga “riempito” più possibile dalla pasta, che gli sia a misura. Questo vi consentirà di utilizzare una quantità di burro abbastanza contenuta. Se la pasta è immersa nel burro è chiaramente meglio ma non è strettamente indispensabile: alla brutta rigiratela ogni tanto su se stessa.
Una volta che avete versato il burro nel contenitore riempito di pasta chiudetelo con un foglio di stagnola e lasciatela riposare per alcuni minuti. Se si tratta di pasta non ripiena come una lasagna, è sufficiente anche solo un minuto, se invece parliamo di pasta ripiena, considerate un tempo di circa 4-5 minuti.
Potete rendere ulteriormente interessante la costruzione della vostra ricetta scegliendo per questa fase un burro aromatizzato come quelli di cui avevamo parlato in questo articolo, evitando magari quelli con elementi solidi all’interno come ad esempio i pezzetti di noce. Non temete per l’incidenza del “bagno di burro” sul risultato finale, la pasta non risulterà affatto “annegata” ne unta. Una volta iniziata la fase di riposo procedete a porre in riscaldamento la superficie di cottura scelta, in modo da averla poi già pronta al bisogno.
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2. Piastratura
Procedete a scolare grossolanamente la pasta dal burro ed a porla immediatamente in cottura sulla superficie scelta. Come accennato, se avete optato per la padella in ghisa attendete semplicemente la cauterizzazione per contato, procedendo ad ottenere lo stesso risultato su ambo i lati. Potete volendo anche aggiungere il coperchio in cottura per ottenere una somministrazione del calore più omogenea. Se invece scegliete il vassoio forato rigirate spesso la pasta: progressivamente assumerà un colore omogeneamente dorato e tenderà a “fioccare” leggermente sulla superficie. In questo caso però vi consiglio una cottura a coperchio aperto e di giocare sull’irraggiamento diffuso e continuo, controllato a vista.
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3. Condimento e Completamento
Una volta ottenuto il livello di cottura desiderato si puo procedere con l’ultimazione del piatto, fase che in quanto facente parte della vostra ricetta, attiene completamente a voi. Nonostante questo, e per quanto possa sembrare un passaggio irrilevante, mi permetto di darvi alcuni consigli che vi aiuteranno a valorizzare al meglio le caratteristiche di questa tecnica.
Se aggiungete un condimento, come puo essere un sugo o una salsa, la resa migliore a mio avviso non si ha rimestando la pasta fino a rivestirla completamente, bensì aggiungendola come topping a mo’ di una dip sauce. La morbidezza dell’interno e la cremosità o la freschezza del condimento costituiscono la massima esaltazione della croccantezza del bark nella cauterizzazione sulla pasta.
Le Applicazioni Possibili
Gli ambiti di applicazione della tecnica della Pasta Piastrata sono essenzialmente due. Il primo è quello più intuitivo e che maggiormente abbiamo lasciato intendere finora: quello della pasta ripiena. Tra i vari formati, io vi consiglio i Ravioli o i Tortelloni. Se poi trovate i Tortelli enormi che vanno tanto di moda nella creazione dei piati gourmet, come la mia ricetta dei ravioli piastrati con ragù d’anatra o quella dei miei Black Gyoza, qui avete fatto davvero bingo. Se invece avete amici emiliani con i quali volete conservare un rapporto, vi sconsiglio di avvicinarvi ai cappelletti e ai tortellini. Non bastasse questo a dissuadervi, a mio parere sono i formati che rendono meno per risultato finale, sia in termini di consistenza che di incidenza della cauterizzazione.
Il secondo è quello meno scontato ma non per questo meno interessante: la tecnica della Pasta Piastrata si presta in modo eccezionale per la scoperta di tutti i concetti di “lasagne destrutturate” che vi possono venire in mente, ovvero fogli di pasta che vengono piastrati per poi essere “rimontati” nel piatto in base ala ricetta e alla vostra fantasia. A me vengono in mente almeno una decina di utilizzi, dalla lasagna di mare alla “lasagna scomposta” di Botturiana memoria, ma non è certamente questo il luogo dove porre limiti alla fantasia.
Ai due citati infine se ne potrebbe aggiungere un terzo che fa un po’ categoria a se: i gnocchi piastrati. Naturalmente anche in questo caso a maggior ragione, la qualità ha un ruolo determinante e vi consiglio nell’applicazione specifica del metodo, di scolare poco i gnocchi e di limitarvi alla sola padella in ghisa quale superficie di cottura possibile. Al netto di queste piccole accortezze, i gnocchi piastrati sono semplicemente deliziosi.
Adesso non vi resta che aggiungere la Pasta Piastrata alle frecce al vostro arco, a mio parere, tra paste risottate nel wok e risotti “paellati”, il miglior modo in assoluto per caratterizzare un primo piatto attraverso i sapori tipici e distintivi della cucina barbecue in modo indimenticabile.
Buon Barbecue Creativo!
Grazie Marco per dare sempre spunti diversi alla cucina sul BBQ. Articoli come sempre concreti e precisi, dote rara di questi tempi.
Grazie infinite Giulio,
lo apprezzo tantissimo credimi 😉
Complimenti Marco, articolo che mi ha ispirato molto per le mie prossime creazioni. Una domanda forse banale, la pasta nel vassoio forato è più una pasta grigliata giusto?
Grazie mille Paolo,
in realtà non cambia moltissimo rispetto alla soluzione su ghisa. Hai forse una cauterizzazione più diffusa rispetto alla pura Maillard in stile gyoza. E’ questione di gusti ma si tratta di sfumature, non di più 😉
Complimenti Marco! Proverò !
Unica curiosità …ok la pasta rimarrà al dente e anche croccante ma basterà il tempo della cauterizzazione per far cuocere ed intenerire il tipieno ?
Grazie 🙂
Si tranquillo, specie se si tratta di pasta fresca o in ATM 😉
ciao Marco, complimenti dovuti a parte, un chiarimento: la cottura in pratica è dovuta alla piastratura, giusto? A riposo nel burro metto la pasta “cruda”, o devo prima lessarla come si farebbe tradizionalmente? Grazie, Carlo
Grazie Carlo 😉
Certo, la maggior parte dell’azione di cottura proviene dal passaggio in piastra e si parte assolutamente da pasta cruda cruda 😉