Perché l’American BBQ è così diverso
Ti interessa davvero saperlo? Allora lascia che ti dia il migliore dei consigli che tu possa ricevere se stai approcciando questa materia per la prima volta: abbandona i luoghi comuni che vorrebbero il barbecue americano come un miscuglio di ingredienti melensi versati sulla carne in un affumicatore. Non stiamo parlando di questo. Non confondere l’aspetto tecnico di un’espressione di cucina con il profilo culturale di chi la usa. Quello che devi arrivare a capire è il risultato di cottura che il vero American BBQ è in grado di attribuire alla carne e solo poi, come fare barbecue americano per creare un piatto perfettamente in linea con il tuo palato. Ma quindi in cosa consiste questa “magia”?
You need no teeth to eat my beef
Questa scritta campeggia un po’ ovunque sui muri e le insegne dei BBQ Joints disseminati in tutto il sud degli Stati Uniti e letteralmente significa che non hai bisogno di denti per mangiare la carne che ti verrà servita all’interno. Molto al di là della dolcezza dei condimenti utilizzati, la vera essenza del barbecue americano è proprio questa. Qualunque cosa venga cucinata attraverso questa forma di cucina e che esce da un affumicatore barbecue, assume tutta la golosità ed i sapori appaganti di una cottura a fuoco vivo ma con una texture ed una consistenza che letteralmente la farà sciogliere nella tua bocca. Qualcosa di vagamente simile alle nostre latitudini lo si può trovare nel maialetto sardo, con il suo mix irresistibile di cotenna croccante e carne burrosa.
Perché proprio negli Stati Uniti?
Quest’ultimo parallelismo è meno casuale di quanto ti possa sembrare. Devi sapere infatti che tutte le cotture “lente” a fuoco vivo hanno origini simili, in molto caso comuni, aventi un unico grande scopo: rendere straordinaria una materia prima “difficile”. Si tratta di cotture tramandate di generazione in generazione dalla povera gente che poteva permettersi la carne solo nelle grandi occasioni e che quando succedeva doveva accontentarsi dei tagli più poveri, quelli che nessuno voleva perché diventavano duri e tignosi se non cotti con maestria.
Nel caso specifico del barbecue americano, tutto nasce dalle popolazioni Arawak che nell’attuale zona dei Caraibi nel centro America, all’epoca della scoperta del nuovo mondo ad opera di Cristoforo Colombo, usavano scavare delle buche nella quale posizionare le braci da una parte e gli animali cacciati dall’altra, coprendo il tutto con rami e frasche fino a limitare cosi tanto l’afflusso di ossigeno, da rendere la combustione (e conseguentemente la temperatura) cosi bassa da consentire una cottura lenta e dolce, in grado di compiere la magia di cui stavamo parlando: con un po’ di tempo a disposizione le carni dalla cacciagione, dalla muscolatura tenace e asciutta diventavano morbide e scioglievoli come il burro.
Attraverso le migrazioni delle popolazioni Arawak al Nord America la tradizione si diffonde tra gli indiani nativi d’America, che a loro volta la insegnano ai coloni arrivati in povertà dalla Vecchia Europa. Poi da questi agli schiavi di colore delle piantagioni fino a giungere alle modeste e semplici tavole dei BBQ Joints, che attraverso i Pit, ovvero la trasposizione delle ancestrali buche degli Arawak a più moderni affumicatori barbecue in mattoni, perpetuavano la tecnica barbecue sui tagli maggiormente disponibili agli strati più poveri della popolazione: costine e spalle di maiale e punta di petto di manzo, overo le ribs, il pork ed il brisket, la famosa Holy Trinity per la quale è giustamente famoso l’American BBQ.
Come funziona il barbecue americano?
Bene, ma perché proprio nell’American Barbecue avviene questa trasformazione e non ad esempio nel nostro grilling? La chiave necessaria per comprendere il barbecue americano si chiama collagene, la proteina più presente nel tessuto connettivo, in particolare modo nei tagli più poveri ed in parti di scarto come ossa, articolazioni o tessuti sottocutanei. Immaginalo come un composto proteico
che si insinua tra le fibre della carne ed il cui scopo è quello di garantire al contempo robustezza ed elasticità alla “macchina” perfetta del corpo. Gli amminoacidi che lo formano sono strutture a tripla elica che tendono a collegarsi tra loro con un’intensità diversa a seconda dell’età, delle vita o della genetica dell’animale. In sostanza creano tra loro una rete che ha la scomoda tendenza ad irrigidirsi se sottoposto a cotture violente. Al contrario, in presenza di condizioni di elevata umidità e di temperatura bassa e costante, a partire da una temperatura di cottura al cuore di 60°C, lentamente le eliche iniziano a districarsi e a srotolarsi, indebolendo la rete che conteneva le fibre, fino al punto di liberarle del tutto.
Te lo spiego meglio. Hai presente il biancostato con cui la nonna faceva il lesso? Se lo dovessi grigliare ne tireresti fuori una specie di immasticabile copertone da camion, giusto? È il collagene: più lo maltratti e più lui irrigidisce. Hai mai provato a farlo bollire invece? Non esiste ambiente più umido di quello e l’acqua non oltrepassa per definizione i 100°C. Ciò che succede è che eliche si srotolano e la rete si destruttura. Non c’è più nulla che irretisca le fibre della carne, che infatti si sfalda con la semplice pressione della forchetta. La stessa cosa avviene in un affumicatore barbecue …ma con tutto il gusto, i colori e gli aromi che solo il nostro mondo riesce a creare.
Va bene, ancora un passaggio: cosa succede esattamente all’interno della carne? Prova a lasciare riposare in frigo il biancostato nel suo brodo dopo averlo lesso e ci troverai all’interno della gelatina solida. Questo avviene perché dopo che il processo di degradazione del collagene è stato completato, un successivo abbassamento della temperatura porterà una progressiva tendenza alla ricostruzione dei legami in forma più ramificata. Ossia si forma la gelatina: una struttura altamente instabile, che in un processo irreversibile tenderà ad irretire le molecole d’acqua che nel frattempo si sono liberate durante la cottura. Tradotto, significa un’estrema succosità o per usare uno dei tanti inglesismi del mondo barbecue, una notevole moisture. Nel barbecue in purezza, tutto questo avviene all’interno del pezzo di carne che infatti diventa tenero come il burro, trattenendo una quantità mostruosa di liquidi e sciogliendosi letteralmente in bocca.
Ed ecco cosa rende cosi speciale la carne che esce da un affumicatore barbecue. All’interno del macro-mondo della cucina a fuoco vivo, oggi racchiuso nel termine onnicomprensivo “barbecue”, quello che abbiamo appena descritto e che potremmo definire “American barbecue” o Low&Slow oppure con la contrazione americana “BBQ” o ancora, convenzionalmente “barbecue in purezza” per distinguerlo dal resto, non è quindi un’insieme di ricette o un modo di condire la carne. È una tecnica di cottura vera e propria, in grado di produrre risultati unici ed estremamente caratterizzanti adattabili tranquillamente poi a qualunque combinazione di sapori o di intensità di gusto, compatibilmente con il palato e le preferenze di chi andrà ad applicarla.
Ora che hai compreso cosa aspettarti dal barbecue americano, non ti resta che imparare ad applicarne al meglio le tecniche.
Buon divertimento e buon barbecue!



