Inglesismi in griglia: una moda o una necessità?
Il mondo barbecue é per molti versi unico e riesce nella sua stessa natura a risultare sempre bivalente, perennemente diviso tra l’espressione rudimentale a cui per anni é stato relegato e la sua trasposizione moderna che ne esprime completamente la distintiva complessità tecnica. Questo dualismo assume una particolare evidenza quando lungo il proprio percorso di crescita ci si imbatte inevitabilmente nel gergo tecnico che lo caratterizza, come per altro avviene in qualunque disciplina: magari ti immaginavi un dizionario virtuale di termini riassumibili in una paginetta scarsa e invece improvvisamente te ne trovi uno idealmente raffiguratile con un tomo alto una spanna, per altro colmo di inglesismi o in alcuni casi di espressioni nate dall’italianizzazione di espressioni gergali tipiche del mondo americano dove questa disciplina é nata. Personalmente credo sia dal primo minuto e 30 secondi in cui ho iniziato ad insegnare che mi sento rivolgere domande simili al titolo di questo articolo:
Oh mamma, quanto vi piace “‘fà gli ammerigani”… Ma perché non parlate come mangiate!?
Ma perché anziché usare l’espressione “XYZ-ENG” non usate “XYZ-ITA”??
Ma perché non impariamo a valorizzare la meravigliosa lingua italiana?? …bla, bla, bla per i nostri figli… bla, bla, bla Dante… bla, bla, bla Virgilio, ecc, ecc
L’accusa più e meno esplicita é quella di fare diventare gli inglesismi un vezzo, un modo per darsi un tono e dimostrare un propria presunta competenza mentre sarebbe più semplice e utile per tutti commutare verso paritetiche espressioni in italiano che renderebbero più immediata e accessibile a chiunque la comprensione del materiale didattico. Ok, proviamo a dare una risposta sensata, facendo finta per un attimo che sui media questo tema non rappresenti solo una anacronistica e populista polemica, esclusivamente finalizzata alla vendita ed utilizzando questo pretesto per spiegare come muoversi tra gli inglesismi del mondo barbecue e magari a spiegarne la natura.
Partiamo da alcune premesse doverose, che aiutano ad inquadrare la questione degli inglesismi in generale prima di affrontare il caso particolare della loro presenza nel barbecue:
La Prima é che per noi italiani un incremento della propensione alle parole straniere é stata una comprensibile forma di rigetto post bellico ad un periodo non facile, in cui a partire dal luglio 1923 e per oltre un ventennio, il partito fascista aveva categoricamente proibito per legge l’uso dei termini precedentemente importati dall’estero.
In questo periodo quindi il “Football” avventurosamente diventò il “giuoco della palla al calcio” (da cui il nome “calcio” attuale) e il “Rugby” il “giuoco della palla ovale”. Si coniavano per l’occasione termini come “tramezzino”(per mano di D’Annunzio, niente meno) per sostituire “sandwich“, “autorimessa” per il francese “garage” o “pellicola”per “film”.
Se vogliamo dirla tutta quindi, in moltissimi casi è “il popolo di Dante” che ha italianizzato l’inglese e non il contrario.
La seconda é che nel nostro paese tradizionalmente le mode vengono dettate dal Nord e dalla città di Milano in particolare, per poi trasferirsi al Centro e poi da lì al Sud. Lo stesso Barbecue ne é un esempio. Milano è da secoli per la sua posizione geografica, una città a forte vocazione commerciale con l’estero, con inevitabile maggiore tendenza alla conservazione e all’utilizzo di termini stranieri per la quale i milanesi vengono spesso presi in giro dal resto d’Italia. La diffusione delle mode lungo lo stivale si é portata dietro negli ultimi decenni quindi, anche la tendenza tutta milanese di importare un’usanza o un prodotto conservandone anche gli elementi contestuali, senza troppe reticenze.
La terza é che bisogna stare sempre ben attenti a quello che si desidera. In tutta trasparenza, tra gli italiani che usano tranquillamente il termine inglese “Hot Dog”e gli spagnoli ad esempio, che come da loro abitudine lo hanno “spagnolizzato” in “perro caliente” (letteralmente “cane caldo”), non so esattamente se siamo noi a risultare ridicoli. Io personalmente non farei mai a cambio ma contenti gli integralisti…
Precisato questo, stante che nessuno ama complicarsi inutilmente la vita con l’inglese, specie un popolo come quello italiano che mediamente fa fatica a coniugare correttamente il congiuntivo nella sua lingua, figurarsi a permettersi di gigioneggiare in quelle straniere, quali saranno mai i motivi per cui si propende agli inglesismi?
Vediamoli ripescando dagli esempi riportati nell’articolo:
1. L’Inglese é più concreto
Ci sarà un cappero di motivo per cui l’italiano é la lingua del Dolce Stil Novo mentre l’Inglese é la lingua di Wall Street, no? Qualcuno preferisce dire “pet” usando 3 lettere, piuttosto che “animale da compagnia” usandone 18. Pazzesco, chissà come mai… E la stessa cosa fa usando “timing” al posto di “tabella di marcia” e “barcode” al posto di “codice a barre”. Eh… Questa moda degli inglesismi…
Nel mondo barbecue qualcuno mi saprebbe spiegare perché mai dovrei dire “rifilatura di membrane e grasso in eccesso dalla carne” anziché dire “trimming”? Qualche esteta della lingua potrebbe obiettare che la sua italianizzazione “trimmare” sia stilisticamente orrenda ma questo oggettivamente non cambia i fatti: non esiste un termine italiano UNIVOCO con le stesse caratteristiche ne sotto forma di verbo ne come sostantivo e quindi é abbastanza normale che quando si ha la necessità di coniugarlo per esprimere un’azione si arrivi a declinarlo in “italenglish”. Bisogna forse ricordarsi ogni tanto che la lingua prima ancora di essere un patrimonio culturale é uno strumento che serve alle persone per comunicare…
2. Il significato non é esattamente lo stesso
Italiano e inglese non sempre sono completamente sovrapponibili. “Teen Ager” non é “adolescente”. Per nulla. L’adolescenza é l’età puberale, quella in cui il nostro fisico dventa adulto. “Teen age” é invece l’età giovanile i cui anni finiscono con “Teen”, quindi da Thirteen (13 anni) a Nineteen (19). A 19 anni la pubertà l’hai finita da mo’… Essere Teen Ager implica un concetto più ampio di migrazione psicologica dall’essere bambino all’essere adulto, un’età delicata e complicata che volutamente é stata catalogata a parte e che non per nulla viene di solito associata all’inquadramento di una generazione. In italiano a 18 anni non sei un adolescente, sei praticamente un uomo ma in inglese sei ancora un Teen Ager.
Allo stesso modo, un cash back non é affatto un rimborso. Un rimborso me lo fanno quando qualcuno sbaglia a darmi un prodotto. Un cash back é un’operazione commerciale volta a restituirmi sotto forma di incentivo parte della cifra spesa in precedenza. Un Know How non é esattamente una competenza (più simile in italiano al concetto di Skill), é un saper “essere nel problema”. Non é solo l’abilità nel saper fare una cosa ma é anche la bravura nel saperla far fruttare in un contesto o nel sapersi muovere tra le sue problematiche. Un device é un tipo particolare di dispositivo, una fake news é un tipo particolare di bufala, per non parlare di associazioni assurde come scomodare il latino “ultra” per trovare come sostituire l’inglese “over” o “selezione” per “screening” (😨 eh?!).
In “barbecuese” quindi io faccio “injection” perché le iniezioni me le vado a fare in ambulatorio, dalle mie preparazioni voglio “moisture” perché l’umidità la guardo nelle previsioni del tempo e i trattamenti a cui sottopongo la mia carne sono dei “seasoning” perché il condimento é quella roba che destino all’insalata…
3. Solitamente l’utilizzo ha una sua matrice ineliminabile
Anche volendo considerare i soli inglesismi introdotti più di recente nel nostro parlato quotidiano e per i quali in linea teorica esisterebbe un sinonimo italiano che con la stessa immediatezza riesca a trasmettere il medesimo significato o uno quasi analogo, rimangono pur sempre ineliminabili le ragioni per le quali quei termini sono arrivati a noi e che nel frattempo si sono radicate nelle nostre abitudini. É verissimo quindi che per esprimere il concetto di “flag” si potrebbe dire “spunta” ma purtroppo non é quella la forma in cui il suo utilizzo é arrivato a noi. “Spunta” nel nostro parlato era fino all’era pre-informatica un termine abbastanza “stanco” e sempre più desueto, che esprimeva il gesto attraverso il quale un personaggio che ci potremmo raffigurare come Furio di Bianco, Rosso e Verdone, procedeva ad eliminare progressivamente le voci dall’elenco su un bloc notes. Il “flag”, ossia la convalida reversibile di alcune opzioni nelle impostazioni di un’applicazione in ambito informatico ha dato letteralmente una nuova funzione d’uso al gesto ed é quindi inevitabile che si sia continuato a descriverlo con quel termine, diventando cosi utilizzato da estendersi anche agli ambiti che da noi venivano descritti attraverso la parola “spunta”.
La verità é che le lingue sono vive per definizione: nascono, si evolvono di continuo e in alcuni casi muoiono. Non possono quindi essere programmate a tavolino e la scelta delle espressioni o delle parole é un fenomeno naturale in mano a chi le usa nel quotidiano. Se preferisci: é il dizionario che racconta il nostro modo di esprimerci e i suoi cambiamenti e non il contrario. Anche volendo quindi stabilire a tavolino che “spunta” sia per qualche motivo meglio di “flag”, sarà il parlato comune che deciderà chi sopravviverà tra i due, con buona pace di tutti.
Nel nostro mondo “overcooked” si potrebbe certamente esprimere come “stracotto” senza perdere nulla sia in termini di immediatezza che di significato ma prima che arrivasse il concetto evoluto di barbecue in italia, l’espressione era più che altro relegata alla sfera delle ricette della nonna o al limite in alcuni casi per descrivere un errore nei tempi di cottura della pasta ma credo mai nessuno si sia mai sognato di descriverci i gradi di temperatura al cuore di una bistecca o il fatto che il collagene di una costina sia un po’ troppo denaturato. Semplicemente il fatto é che l’utilizzo del termine é diventato di uso comune in un contesto in simbiosi con l’applicazione che ha contribuito a diffonderlo.
In definitiva quindi, ogni materia ha un proprio linguaggio tecnico e che ci piaccia o meno, il nostro é di matrice americana ed é conseguentemente ricco di inglesismi. Se sei agli inizi e non lo conosci é una cosa normale. Non é colpa tua ma non puoi pretendere nemmeno sia colpa di chi lo usa. Sono per altro personalmente sfavorevole alla creazione di appositi dizionari: per quanto possano essere vasti mancherà sempre qualcosa e i termini non potrebbero essere in ogni caso contestualizzati, cosa a mio parere imprescindibile per comprenderli fino in fondo. Sono invece dell’opinione che se non conosci il significato di un termine é molto probabile che tu non abbia letto a sufficienza su quell’argomento e che quindi tu stia tentando di accelerare un po’ troppo i tempi. Fidati di me: comincia dall’inizio, fai le cose per gradi e vedrai che il gergo tecnico verrà acquisito in automatico mano a mano che ti servirà.
Nel frattempo che più in generale ciascuno usi le espressioni che più gli aggradano per definire le cose sentendosi libero di usare inglesismi o meno. Ma se proprio ci si sente in dovere di dire agli altri come devono o non devono esprimersi, che si apra prima il calendario e ci si renda conto che siamo nella seconda decade degli anni 2000 e che il processo di “libera circolazione di merci e persone (e termini, ndr)” é già iniziato da un bel po’.
A presto, anzi see’ya!