Tutto ciò che non ti hanno mai detto sul Combustibile dei Grill a Carbone
Se penso al rapporto tra un grill ed il combustibile attraverso il quale é alimentato, esistono due innegabili verità che ho appreso nel corso dei miei anni spesi a stretto contatto con il pubblico dei corsi barbecue e dei barbecue store nei quali si svolgevano. La prima é che conoscere il mondo dei combustibili, la loro varietà ed il loro funzionamento aiuta a comprendere meglio perché il proprio dispositivo é stato pensato proprio in quel modo e quindi ad utilizzarlo meglio, con maggiore precisione ed efficacia. La seconda é che in nessun altro settore come in quello del carbone, l’italiano medio é preda totale dei luoghi comuni, dei falsi miti e della disinformazione più completa.
“La brace di legna ha tutto un’altro sapore rispetto alla carbonella” o “le bricchette di carbone sono chimiche” sono solo alcune delle cose che avrai sentito dire con più insistenza su questo argomento. L’errore che non devi commettere é quello di seguire la massa di chi ti vuole far cadere nella teoria del complotto, ovvero nel farti credere si tratti di un settore dozzinale e stupido nel quale non c’è da inventarsi nulla, che esiste da sempre ma che mira a tenerti all’oscuro di chissà quali informazioni per riuscire a “rifilarti” qualcosa. Informazioni che si trasformano quindi in “segreti” da passarsi sottobanco tra appassionati per sottrarsi a questo “gioco di potere”.
La realtà é molto più semplice e più logica: un prodotto esiste perché esiste una domanda che lo richiede e non viceversa. Carbone, Carbonella, Bricchetti di Carbone: ogni tipologia di combustibile ha una propria logica ed un proprio ruolo. È sufficiente comprenderlo per rendere la tua scelta perfettamente consapevole, magari abbiano l’acquisto di due o più soluzioni per coprire tutto l’arco delle tue possibili esigenze, questo naturalmente al netto dell’avere imparato ad accenderlo nelle modalità corrette.
Ma andiamo per gradi, spiegandoti nel dettaglio tutto ciò che non ti hanno mai detto sui combustibili utilizzabili per l’alimentazione dei Grill a Carbone, sfatandone su ciascuno i principali falsi miti:
CARBONELLA NON É SINONIMO DI CARBONE
O quantomeno non lo é nei termini utili ai nostri scopi. Il termine “carbonella” esprime un concetto commerciale, un prodotto e non una materia prima. “Carbonella” é il nome “simpatico” trovato per una soluzione introdotta negli anni ’70 finalizzata a rendere “moderno” e facile l’ottenimento delle braci necessarie ad una bella grigliata di Pasquetta. Per chiarirti la logica dell’epoca e comprendere come il contesto in cui é nata la carbonella fosse alla continua ricerca di prodotti “time saving”, considera che in quegli stessi anni hanno iniziato a comparire i primi “pronto cuoci”, come i Sofficini nel 1975 o i Bastoncini di Pesce pochi anni prima. Il carbone era sporco, pesante, lungo e difficile da avviare, mentre l’uomo “moderno” aveva bisogno di una roba “pronti-via”, spiccia e snella. Per ottenere lo scopo hanno sovvertito la logica con la quale era stato prodotto il carbone fino a quel momento: ottenere un combustibile potente, che durasse a lungo. In questo caso serviva il contrario: un carbone veloce da accendere, destinato ad una cottura che non necessitava di tempi di combustione superiori a qualche decina di minuti, magari che costasse anche meno per consentire al prodotto di arrivare più facilmente alle masse.
Passo indietro: il carbone per come lo intendiamo oggi (vedi punto successivo) é il frutto di una lenta combustione in un ambiente povero di ossigeno (anticamente le carbonaie, oggi i più moderni forni) che elimina tutte o la maggior parte delle sostanze organiche per lasciare il solo carbonio, ossia il combustibile puro. La quantità di residuo carbonico é data dalla lignina della pianta di cui abbiamo già abbondantemente parlato nel corso gratuito sull’affumicatura gourmet: in sostanza costituisce “le ossa” della pianta, la struttura sulla quale si erge. Piante a maggior densità di lignina sono dette “legni duri” (hardwood in inglese) e a parità di volume producono un carbone più pesante, potente e longevo. Si tratta di una caratteristica ben evidenziata in etichetta quando presente perché esprime una grande qualità. Nel caso della carbonella si é scelto di utilizzare invece volutamente legni poveri e leggeri, che si accendevano poi velocemente ma che duravano un nulla, producendo per altro una quantità smodata di fumo, scintille e schioppettii. Inizialmente la carbonella veniva addirittura impregnata di derivati del petrolio per rendere l’accensione davvero idiot-proof, pratica poi per fortuna abbandonata.
Con il termine “carbone” di cui parliamo in associazione alla cucina barbecue sottintendiamo SEMPRE il carbone di legno duro, un carbone profumato, dal calore intenso e duraturo di cui di solito viene espressamente esplicitata la tipologia di legno di provenienza. Purtroppo al contrario della carbonella, non é comunemente disponibile nella grande distribuzione che opera su altre logiche, ma per fortuna é sempre più facilmente reperibile nei barbecue store e nei negozi specializzati.
TUTTO IL CARBONE BARBECUE É VEGETALE
Termini come “vegetale” o “naturale” sono ingannevoli: possono lasciar pensare che quel carbone sia più salubre degli altri. Occorre capirci molto bene sul significato di queste espressioni: esistono 4 tipologie di carbone.
La prima é il CARBONE FOSSILE, ossia il risultato di un lento processo ossidativo maturato su piante di epoca preistorica sepolte in assenza di ossigeno. E’ tipico delle nazioni del nord Europa dove i giacimenti sono molto diffusi e venivano utilizzati comunemente per il riscaldamento. É potente e pesante ma altamente inquinante ed insalubre.
La seconda é il CARBONE NATURALE. É un nome improprio, non si tratta di vero carbone e si ottiene da torba, muschi e sostanze spugnose sottoposte a processi ossidativi naturali ed estratti dalle torbiere per poter essere utilizzati nella combustione negli altiforni o in alcuni processi agricoli. Contiene un’alta percentuale di acqua, produce moltissimo fumo e non é considerato affatto un combustibile di qualità.
La terza é il CARBONE ARTIFICIALE, ottenuto dalla combustione degli elementi organici del combustibile attraversi agenti ossidanti come il Solfato di Sodio o di Manganese. Il più famoso é il Carbon Coke, ottenuto dal Litantrace, vero motore della Rivoluzione Industriale inglese durante la quale veniva impiegato per la produzione dell’energia necessaria al funzionamento dei macchinari. Anche in questo caso siamo di fronte ad un combustibile efficace ma altamente inquinante. Pochi sanno che il colore “fumo di Londra” deriva proprio dal colore assunto dal cielo della città di Londra durante quel periodo, perennemente avvolto dal risultato della combustione del Carbon Coke in ogni angolo della città.
La quarta é il CARBONE VEGETALE, ossia quello prodotto dal processo di carbonizzazione del legno delle piante che ti ho descritto sopra in relazione alla distinzione tra carbone e carbonella. Produce un buon calore (sempre in rapporto alla qualità del legno utilizzato) e di gran lunga più pulito rispetto alle tipologie precedenti. Non farti fuorviare dalle scritte tendenziose quindi: TUTTO il carbone (carbonella compresa) che ti viene venduto oggi destinato alla cottura barbecue é carbone vegetale.
PEZZI PICCOLI = GRILLING, PEZZI GRANDI =ROASTING
Più é alta la densità di lignina e più il carbone é duro, pesante, compatto. Più questo é vero e più il processo di produzione é svolto nei giusti tempi e alle giuste temperature e meno il carbone tende a sbriciolarsi, magari con l’aiuto di un trasporto che lo tratti con un minimo di delicatezza. Generalmente quindi un carbone con pezzi più grandi (e con una maggiore omogeneità in selezione, cosa di cui si parla poco ma ugualmente importante) viene considerato di maggiore qualità e quindi di maggior valore commerciale. Leggi “più caro”.
Questo é indiscutibile ed é giusto che sia cosi. É altrettanto vero che mi aspetto che attraverso il percorso che potremmo fare insieme lungo i miei corsi, i miei video corsi o anche semplicemente gli articoli gratuiti di questo blog, tu possa trasformarti da “griller esecutore” a “griller senziente”, ovvero in un vero Grill Master, in grado di capire cosa sta facendo e perché. Pezzi molto grandi hanno dei vantaggi in termini di regolarità di combustione e longevità in conseguenza di una massa più grande. Se però il tuo progetto di cottura prevede un grilling diretto a te fondamentalmente serve sì potenza (quindi combustibile di qualità), ma anche una ottima omogeneità di irraggiamento su tutta la superficie dell’area di cottura mentre ti interesserà meno che le durate siano siderali e altrettante poco che ci sia un grande regolarità di comportamento nell’erogazione del calore, molto più rilevante per la stabilizzazione in una indiretta.
Se quindi si tratta di carbone duro, di pezzatura regolare e non polveroso, in un grilling classico sarà per te controproducente e inutilmente dispendioso andare su pezzature molto grandi. Molto meglio tanti pezzi regolari dalle dimensioni di un piccolo pugno che producono un irraggiamento perfetto ed omogeneo in ogni angolo della griglia rispetto a pochi tronchi praticamente integri, bellissimi da vedere ma scomodi nell’erogazione per i nostri scopi. Esattamente il contrario naturalmente, nel momento in cui si passa ad una cottura indiretta, in particolare più si allungano i tempi.
I BRICCHETTI DI CARBONE SONO DIDATTICI
Il combustibile maggiormente demonizzato nel recente passato sono probabilmente i bricchetti di carbone, ossia quegli ovuli di carbone pressato la cui diffusione ha viaggiato di pari passo con quella del barbecue in Italia. L’accusa più diffusa é quella di essere “chimiche”, ossia di essere insalubri, di produrre fumo fastidioso, di attribuire note sgradevoli al cibo e più ingenerale di essere un combustibile di minor qualità rispetto al carbone duro. Se quest’ultima affermazione è indiscutibilmente vera, lo é altrettanto il fatto che della cosa non ne viene fatto un particolare segreto e proprio queste loro caratteristiche ne inquadrano la funzione d’uso.
I bricchetti di carbone vengono prodotti attraverso la carbonizzazione di chips o di piccole parti di legno di legno, ridotte poi in polvere. Quest’ultima viene poi compressa ad altissima pressione in presenza di un legante in appositi stampi. All’impasto oltre al legante é abbastanza comune aggiungere elementi come acceleratori di combustione, carbonato di calcio per colorare di bianco le ceneri e borace per favorire il distacco dalle forme dello stampo. Probabilmente una malinterpretazione di questi elementi ha portato alla brutta fama delle bricchette: il legante non é nient’altro che normalissimo amido di mais, l’acceleratore di combustione é cera o polvere di legno, il carbonato di calcio é la base delle maggior parte dei medicinali contro il bruciore di stomaco e il borace é un comune ingrediente della medicina tradizionale giapponese. Niente di cosi spaventoso dunque. É poi vero che produce un intenso fumo nero in accensione, proprio a causa dell’amido di mais che é pur sempre uno zucchero ma dopo pochi minuti dall’accensione nel cesto, non ce n’é oggettivamente più traccia.
Chiaro che stiamo parlando di un combustibile dalla scarsa qualità di partenza, che non potrà mai produrre grandi picchi di calore, ma qualitativamente certamente tre spanne sopra la comune carbonella da supermercato. La motivazione é che la tecnologia con la quale sono prodotte sopperisce ai limiti della materia prima, donandogli in conseguenza della grande compattezza, ottime regolarità di combustione e longevità. Inoltre trattandosi di pezzi identici uno all’altro consentono una standardizzazione del comportamento notevole.
In definitiva: le bricchette non possono confrontarsi con il carbone ne in termini di qualità delle prestazioni ne sotto il profilo aromatico. Se però si é agli inizi e si sta apprendendo il rapporto tra la quantità di combustibile introdotto ed il calore espresso nel dispositivo, o ancor di più se si sta acquisendo dimestichezza con il processo di stabilizzazione del dispositivo nelle cotture indirette, le bricchette facilitano e di molto, il compito. Sono da considerare uno strumento didattico che semplifica per molti aspetti la standardizzazione nella produzione del calore necessario alle cotture e quindi l’apprendimento delle sue dinamiche. Ci aggiungo un plus: alcune cotture che amano le temperature moderate, come ad esempio le bruschette, cosi ricche di amido e a rischio bruciature, risultano notevolmente facilitate dall’uso delle bricchette.
Adesso conosci tutti i presunti piccoli e grandi “segreti” del mondo del carbone, della carbonella e dei bricchetti di carbone. Non ti resta che iniziare ad usarli al meglio nel tuo dispositivo.Buon divertimento e buon barbecue!
Articolo molto interessante, leggendo ti scontri con molti pregiudizi che si ascoltano spesso parlando dell’argomento. Mi sono ricordato di un dubbio che ho tuttora sull’utilizzo delle bricchette. In particolare il metodo dello snake può essere considerato poco salubre, causa accensione continua delle suddette bricchette durante la cottura?
In realtà no, quantomeno non su livelli significativi. Ciò che é insalubre é la produzione di idrocarburi che però avviene solo al raggiungimento della temperatura di pirolisi secondaria.
In altre parole se (come presumibile) lo shake é finaliato al L&S non si raggiunge una temperatura sufficiente