Capire il Barbecue Competitivo

Barbecue Competitivo

Sfatiamo alcuni Luoghi Comuni

Sebbene il barbecue stia diventando sempre più un fenomeno di costume, possiamo tranquillamente dire che ancora rappresenta una nicchia, uno dei tanti aspetti semi-sconosciuti nel mondo della cucina che imperversa cosi tanto in questo momento sui social e in TV. Chi legge abitualmente queste pagine sa che abbiamo un ruolo attivo in una nicchia nella nicchia del comparto: il barbecue competitivo.

Per essere chiari, io AMO il barbecue competitivo. In ogni sua veste, in ogni sua espressione. In alcuni post precedenti ho provato a descriverne l’anima più squisitamente romantica, l’etica che pervade il rapporto tra i team, il susseguirsi di emozioni della award ceremony e le atmosfere ovattate della overnight. Questa è però solo una faccia della medaglia. Non meno importante e significativo è infatti il suo profilo sportivo. Ho detto “sportivo”. Si, perché lo considero a tutti gli effetti uno sport, una competizione basata su abilità e strategia, misurata in base alle prestazioni dei singoli e delle squadre di cui fanno parte.

Purtroppo mi rendo conto quanto risulti difficile comprenderne le sfumature, quanto possa risultare un mondo distante a chiunque non abbia mai partecipato ad una gara, fosse anche da spettatore. Se poi a questo aggiungiamo una comunicazione al pubblico, non dico strumentale ma quantomeno fuorviante da parte degli attori principali, ecco che mi accorgo del rischio di una percezione distorta, di quello che a mio parere è una realtà da valorizzare e da raccontare.

Volevo quindi umilmente contribuire a sfatare alcuni luoghi comuni o quantomeno a chiarire alcuni dubbi che troppo spesso sento aleggiare intorno al barbecue competitivo. Mi perdoneranno i miei tanti amici che gareggiano in WBQA se farò più esplicito riferimento alle regole KCBS, in quanto quelle che conosco meglio. In ogni caso sono sfumature tecniche, quello che ci sta dietro non cambia.

Barbecue Competitivo

Premetto per chi proprio non sapesse nemmeno di cosa stiamo parlando che il funzionamento è presto detto: una gara classica di barbecue si basa su 4 categorie, rappresentanti ciascuna i quattro pilastri della cucina barbecue americana: Chicken (pollo), ribs (costine), Pork (spalla di maiale) e Brisket (punta di petto di manzo). Ciascun team deve iniziare il giorno A da carne a crudo, per consegnare il giorno B i le 4 preparazioni, a breve distanza l’una dall’altra, con la migliore cottura e presentazione possibili. Le preparazioni vengono chiuse in box numerati e vengono portate in forma anonima ai giudici per la valutazione. Ulteriori sfumature sono spiegate nella nostra pagina premi.

Vince chi fa il barbecue migliore

E fin qui, è ineccepibile. Ma cosa significa “migliore” esattamente? Di sicuro non significa nulla di particolarmente creativo. Non siamo a Masterchef. Una preparazione vincente è una preparazione perfettamente coerente con dei canoni. Prendiamo un Brisket. Barbecue CompetitivoDeve essere il più possibile morbido e scioglievole ma deve avere una sua consistenza, non ti si deve sbriciolare in mano. Deve ingolosire il più possibile ma deve farlo apparendo il più naturale possibile. Il suo sapore di manzo deve essere esaltato nella maniera più intensa possibile ma senza apparire mai artificiale. La gara è trovare l’equilibrio tra questi fattori, non inventarsi una ricetta. Quanti team ci riescono? E’ chiaro che prima bisogna trovare il proprio giusto equilibrio tra i fattori e il proprio modo per arrivarci ma sopra un certo livello, molti team lo sanno fare. E allora la differenza dove sta? Abbiamo detto che il barbecue competitivo è uno sport. Facciamo quindi parallelismi con sport più conosciuti. Un giocatore di golf professionista sarebbe in grado in condizioni asettiche di far finire la pallina esattamente nel punto in cui vuole che finisca? probabilmente si, ma non gioca in condizioni asettiche. C’è il vento, l’umidità, la scivolosità dell’erba su cui la palla rimbalza e mille altri fattori. La bravura sta nel valutarli e correggere il proprio tiro di conseguenza. Nel golf chi sbaglia di meno vince.

Nel barbecue competitivo è la stessa cosa. Le condizioni incidono, non ultima la carne, che non essendo prodotta in serie non si comporta mai esattamente alla stessa maniera. Nella gara in Francia l’anno scorso, spirava un costante vento caldo e asciutto e tutti i team hanno avuto qualche problema nel gestire la disidratazione delle preparazioni. La bravura sta nel saper correggere il settaggio dello smoker e/o il seasoning della carne per attenuare il problema, al saper ricondurre la preparazione ai canoni rimettendola sui giusti binari quando si discosta. La stessa cosa si potrebbe dire per i -22 del WEST o per l’estrema umidità del lago a Hoofddorp, nel Barbecue Society in Olanda. Su dieci gare è molto difficile che avrete ESATTAMENTE lo stesso risultato. Dovranno discostarsi tra loro il meno possibile, sempre nell’ottica di un equilibrio.

Il barbecue di chi vince è buono, quello di chi perde fa schifo

Barbecue CompetitivoNon è cosi. Ad occhi e palato non allenati, le due preparazioni cosi come tutte quelle in mezzo a questi estremi, parrebbero molto simili. Stiamo parlando di sfumature, di dettagli, in un sistema di giudizio dove su anche solo un giudice e anche solo un parametro, un voto di 8 (buono) al posto di 9 (perfetto) decreta uno scivolone di punteggio notevole. Sempre riprendendo il parallelo con altri sport: in una corsa sui 100 mt. alle olimpiadi, chi arriva ultimo non può essere definito “lento” e la differenza con il primo sarà nell’ordine dei centesimi di secondo. La foto qui riportata è di un Brisket arrivato tra le ultime posizioni del recente Brew’n’Q Open. Quanto paghereste per avere un brisket cosi? Eppure è a 30 posizioni dal primo. La realtà è  che come dice un mio amico, in una gara tutti i team sono forti, solo che qualcuno ultimo ci deve arrivare…

Non è credibile, c’è troppa altalenanza di risultati

In realtà non è poi cosi strano. Peschiamo sempre da altri sport: Federica Pellegrini è una delle atlete migliori della storia italiana e mondiale e nel nuoto sta facendo storia. Ma non vince sempre. Le prime due olimpiadi ad Atene e Pechino sono state quelle della rivelazione e della consacrazione. Poi un tonfo assordante a quelle di Londra e infine una prestazione anonima a Rio. In Brasile la Pellegrini veniva da una buona semifinale e prima di quello da ottime prestazioni in europa, eppure niente. Michael Phelps invece, considerato il miglior nuotatore di tutti i tempi, ogni volta che ha gareggiato è stato primo o tra i primi, addirittura dopo essersi ritirato per due anni dal nuoto agonistico ed essere ingrassato di 15 kg. Quelli bravi fanno bene la maggior parte delle volte, mentre i campioni sono quelli che creano le condizioni per vincere costantemente e i campioni veri nel nuoto, nel barbecue come in ogni altro sport per forza di cose sono pochi.

Il punto è che come si diceva sopra, le distanze tra i team sono millimetriche. Noi l’anno scorso in una categoria siamo finiti settimi a 0,4 punti su 180 dal primo. Sette squadre racchiuse in 0,4 punti! Chiaro che il minimo errore lo si paga e chi è dietro di te non aspetta altro. Come in tutti gli sport serve anche fortuna ma alla fine i team nei primi posti sono bene o male sempre quelli.

Chi ha più soldi vince

Falso. Il principio è che chi ha più soldi avrebbe più da investire in carne e strumenti di livello più alto garantendosi prestazioni migliori. E’ un approccio molto ingenuo. Barbecue Competitivo Conosco team che abitualmente utilizzano carne costosissima ottenendo prestazioni in linea con team che usano carne più comune, altri addirittura che hanno fatto l’investimento di acquistare un Wagyu, avendo i quelle occasioni le proprie prestazioni peggiori. Per fare un altro esempio, Harry Soo, uno dei pitmasters americani più famosi e vincenti, usa come strumento di cottura per il proprio Brisket unicamente un amatorialissimo WSM perchè sostiene essere quello che gli da i risultati migliori. Generalmente a questo punto mi viene risposto che certamente, se uno non è capace può anche prendere la carne migliore del mondo ma non otterrà mai nulla mentre quelli bravi vincono qualsiasi cosa gli venga dato in mano. Come abbiamo visto anche al punto precedente però non è cosi e in ogni caso il punto non è questo. Ognuno raggiunge il suo risultato in cottura attraverso un proprio sistema. Cuocere a temperature più alte o più basse, usare una injection più o meno grassa, usare un rub più o meno zuccherino, e altri mille fattori renderanno la carne che stai usando, più o meno adatta al tuo sistema. Questo è un sistema che esula dal costo economico. Non esiste la carne migliore in assoluto ma solo quella più adatta a quello che tu devi farci.

La stessa cosa si può dire per gli smokers. I Miss Piggy’s UK che avevamo intervistato alcune settimane fa sono stati per due anni di fila campioni europei usando due Pro Q Exel, buoni bullet smoker ma di natura certamente amatoriale. In quell’intervista Scott diceva: “il cattivo lavoratore incolpa sempre i suoi strumenti“.

I giudici in Italia non sono all’altezza dei team

Non è vero, o meglio non è più cosi da un po’. l’Italia ha da questo punto di vista pagato dazio per essere partita tardi rispetto ad altri paesi. I team partivano da una base, per quanto bassa. I giudici no. A questo aggiungiamo che il lavoro del giudice è davvero, davvero molto difficile. Per arrivare a giudicare cogliendo differenze tanto sottili non basta la formazione, serve allenamento e purtroppo l’allenamento migliore sono le gare stesse. C’è da dire che chi vuole percorrere la carriera di giudice ha tutti gli strumenti per poterlo fare, verificando on line i propri punteggi, confrontando le proprie medie con quelle di altri giudici, capendo dove si è sbagliato e dove si può migliorare. Molti giudici che conosco hanno percorso questa strada e oggi posso dire che lo zoccolo duro dei giudici italiani alle gare comprende persone motivate, con una buona formazione personale ed un ottima esperienza. Sempre da partecipante posso confermare il livello degli errori va sempre più assottigliandosi e ad oggi non esiste un significativo gap con l’estero.

Un’altro discorso si potrebbe fare in merito alla reperibilità dei giudici. E’ un dato di fatto che questa domanda nasca sull’esperienza vissuta nei primi anni, quando oggettivamente si era proceduto ad una certificazione di massa per correre incontro alla domanda impellente di giudici ed un conseguente livello qualitativo medio iniziale basso. Di quella generazione alcuni hanno scelto di iniziare un percorso da giudice qualificato, molti altri come è fisiologico, ha invece lasciato. Finito quel periodo nel nostro paese non c’è oggettivamente stato un ricambio generazionale. Noi italiani siamo diversi da tedeschi, olandesi, scandinavi, che hanno la cultura del “viaggiare zaino in spalla” nel DNA ed è un fatto che nel nostro paese non si è innescato un circuito virtuoso di sviluppo del settore giudici come è invece avvenuto in altri paesi. In sostanza quindi abbiamo oggi eccellenti giudici, in grado di dare una qualità di giudizio molto alta ad una competizione ma ne abbiamo troppo pochi. In questi termini quindi la cosa vera è che certamente sotto il profilo promozionale interno potremmo fare qualcosa in più.

E’ troppo facile certificarsi come giudice

In parte questo è vero. Il sistema nasce per gli Stati Uniti, dove i futuri giudici hanno un background, essendo nati e cresciuti a barbecue. Questo è scarsamente applicabile in Europa dove prima di capire come fare il giudice bisognerebbe definire gli standard obiettivo delle cotture. Diventare un buon giudice in Europa comporta un percorso leggermente più lungo ma come dicevo sopra, ad oggi il più è stato fatto. Se poi vogliamo dirlo, anche in Europa bisognerebbe fare dei distinguo: quando siamo stati a gareggiare in Svezia allo Smoke in the North, avevamo raccontato di supermercati dove si trovava comunemente nel reparto frigo e rosticceria, ribs, pulled pork, brisket e barbecue sauce fresche.  Chiaro che partire da un substrato culturale di quel tipo è più facile ed il problema al limite è presente solo nel nostro paese  o al più nel sud Europa. Certo, una formula di certificazione ampliata ad hoc, che coinvolga maggiormente l’aspetto sensoriale aiuterebbe ma si può fare tranquillamente senza giocando sul solo fattore esperienza.

Il punto è che la principale critica che viene mossa attraverso questa affermazione è che team formati da pitmasters molto esperti e che spesso rappresentano l’eccellenza del paese che rappresentano, vengano giudicati da persone che invece molto probabilmente a casa loro non riuscirebbero a riprodurre nemmeno lontanamente piatti che assomiglino a quelli che gli vengono proposti in gara. Il suggerimento più o meno latente è che serva una formazione più lunga e articolata. Anche in questo caso però siamo di fronte ad un’affermazione abbastanza ingenua, per molti motivi.

Il primo è che per quanto possa essere lunga questa formazione non sarà mai comunque sufficiente. Quanti anni di formazione servirebbero ad un giudice per potersi ritenere a livello dei pitmasters che abbiamo citato? E chi avrebbe la pazienza di sostenerla senza nemmeno mai giudicare? Il misunderstanding nasce dal fatto che lo scopo della certificazione è darti i criteri di giudizio, non costruire il tuo palato, perche si presuppone che essa sia solo un punto di partenza per iniziare un apprendistato in gara a fianco di giudici più esperti, lungo un percorso che poi porti ad acquisire i gradi di Masterjudge. L’errore è ritenere che un giudice possa essere masterjudge fin dalla sua prima gara altrimenti non meriti di giudicare. Il terzo è che forse non tutti sono a conoscenza del fatto che esistono e sono comunemente adottati dei criteri di formulazione dei tavoli giudicanti, studiati per aiutare i neo giudici nel fare esperienza facendo attivamente parte della giuria ma venendo distribuiti tra i tavoli in modo ci sia sempre un giusto mix con i giudici più esperti. Le regole KCBS inoltre prevedono che in giudizio il voto più basso tra i sei droppi, rendendo ininfluenti eventuali schegge impazzite e annullando l’impatto di valori anomali sul giudizio complessivo

Le competizioni Barbecue non attirano pubblico perche la formula non promuove adeguatamente il movimento

Questo è un altro argomento molto dibattuto. Si tratta di una doppia affermazione causa-effetto, ciascuna fondata su un suo presupposto che ancora una volta è palesemente illogico.

Partiamo con il dire che una competizione barbecue non vuole e non puo essere niente di più di una gara barbecue, ovvero una competizione in cui degli appassionati si confrontano all’interno delle regole di un sistema giudicante ufficialmente certificato. Si tratta della punta di un iceberg, prestazione estreme volte a creare piatti portati al limite, gusti destinati a colpire ma impossibili da sostenere per un intero pasto, per preparare i quali ci vogliono mille passaggi e un sacco di ore. Diciamo quindi che se si vuole fare davvero divulgazione, il circuito competitivo è forse lo strumento meno adatto in assoluto. E’ un po come se per promuovere la vendita delle auto e quanto sia bello e piacevole guidare, si tentasse di portare la gente alle gare di stunt cars…. Il compito per quello scopo dovrebbe essere quello di far assaggiare a più gente possibile, piatti semplici e gustosi dei quali ne potrebbero mangiare a quintali senza stufarsi e tutto sommato facili da replicare a casa, valorizzando il contributo di gusto che questa cucina è in grado di dare e che tutti conosciamo. Paradossalmente anche un normalissimo show cooking al centro commerciale con delle salamelle cotte bene risulterebbe più efficace di una competizione. Gli strumenti preposti allo scopo non possono che essere i canali media, che fanno entertainment dietro il barbecue, quindi ricette nei blog e trasmissioni televisive, pagine facebook dedicate dove parlarne, tutorial su you tube, degustazioni gratuite, streetfood, cose cosi. Il problema è che chiaramente non è come dirlo e ci vuole tempo per fare presa popolare di massa, sui grandi numeri. Riprendendo l’esempio precedente, tentare di sostenere che non si è ancora raggiunto questo scopo perchè i compiti divulgativi non vengono assolti adeguatamente dal circuito competitivo è un po’ come dire che si vendono poche auto perchè le gare di stunt cars non attirano abbastanza pubblico.

In secondo luogo, l’affermazione che le competizioni barbecue non attirano pubblico è in assoluto falsa. Basta visitare una qualsiasi competizione all’estero dove il concetto di evento è un pochino più strutturato e maturo del nostro, per rendersi conto di quanto non sia vero. A titolo di esempio vi basta rileggere il nostro resoconto del BBQ Bulls o del Meat, Smoke and Beer della scorsa stagione o per stare all’interno dei confini nazionali, del WEST o del recente War of Barbecue di Noventa di Piave. Circuiti nazionali come l’NBC poi hanno fatto del front desk popolare una vera e propria missione, coinvolgendo ad ogni gara un pubblico notevole. Il punto vero è che esistono molti sport coinvolgenti e maggiormente preposti allo spettacolo, come il calcio, il basket, la pallavolo. Purtroppo il Barbecue non è tra questi: non ci sono spalti, non c’è una telecamera puntata sopra i nostri box che faccia vedere in mega schermo cosa stiamo facendo ad una vasta platea, non c’è un confronto diretto tra i partecipanti ne una visualizzazione immediata ed in tempo reale dello score. Di fatto, supponiamo per assurdo che durante il turn in (che è il momento probabilmente più adrenalinico ed eccitante della gara) ogni team tolga il gazebo e ogni altra barriera per farsi circondare dal pubblico che guarda. Quante persone riusciranno a vedere in modo decente? Diciamo 10 per ogni postazione? 15? Facciamo 20. Quante squadre sono presenti ad una competizione media? 20? 25? Facciamo 30. Il pubblico spettatore ammonta in totale a 600 persone. Chiunque abbia presenziato ad un qualsiasi evento pubblico sa bene che se non si parla di un pubblico nell’ordine di diverse migliaia, si sta parlando di un fiasco. La gara barbecue non ha le caratteristiche per assolvere questo compito. Ciò che viene invece fatto intelligentemente all’estero è costruire un evento con più punti di attrazione possibili dei quali la competizione è il fiore all’occhiello. Se riprendiamo ancora l’esempio, è come dire che organizzo il weekend dell’auto con test drive gratuiti, tutti i modelli della tal marca esposti e tangibili, dimostrazioni di guida sicura con piloti professionisti, sconti nell’occasione per l’acquisto di un auto nuova, zona streetfood con soli foodtruck presenti e dulcis in fundo il main event: la gara di stunt cars. poi premiazione del vincitore, cena finale e tutti a casa. Il punto è semplicemente che esistono eventi organizzati meglio ed eventi organizzati peggio, promossi bene o promossi male, che funzionano e che non funzionano e i motivi possono essere diversi ma il fatto che coinvolgano o meno una gara barbecue  è solo accidentale.

Quello del barbecue competitivo è un mondo meraviglioso. Lo volete conoscere anche voi  un po’ meglio?

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4 Comments

  • bell’articolo Marco, da giudice concordo su tutto quanto concerne la preparazione, e le condizioni al contorno, che variano sempre così come nello sport. Rispetto però ad alcuni esempi sportivi, dove vince chi oggettivamente “arriva prima”, sia nuoto, corsa, sci, GP, ecc… e non dipende dal “giudizio” di uno o più giudici, direi che una via di mezzo c’è negli sport che implicano “arbitri”, soggetti ad errori. Oppure è come a Cannes: siete tutti grandi attori, molti sono bellissimi film, ma qualcuno giudica e decide chi vince. Nostra responsabilità è affinarsi sempre più, confrontare i propri giudizi con la media del contest, ed investire anche in qualche bella trasferta fuori dall’Italia a giudicare team mai visti prima. Continuiamo tutti così, e facciamo crescere questa “nicchia nella nicchia2 giorno per giorno, ciao!

    • Ciao! Grazie
      Concordo solo in parte in realtà. Il tentativo di strutturazione del giudizio che sta alla base del sistema di certificazione è un modo per rendere la più oggettiva possibile una materia che per sua natura non lo è, un po’ come avviene con le schede di valutazione AIS o ONAF. A titolo di esempio io dico sempre che proprio non mi piace il Lambrusco ma certamente ritengo di essere in grado di dirti se un Lambrusco è meglio di un altro, attraverso un sistema di punteggio.
      Il post parte dal presupposto che questo sistema si stia sempre più consolidando e io credo realmente che sia così. Personalmente ti dico che quando partecipo ad una gara lo faccio con serenità nei confronti del giudizio e se prendo un brutto voto mi chiedo sempre cosa ho sbagliato, perché è molto più probabile che l’errore sia mio, prima che dei giudici

  • Bell’articolo!
    A tempo debito parteciperò anch’io, quando le mie basi in merito saranno sufficienti… Magari ospite vostro! 😀

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