Test su una costata di oltre 100 giorni
E’ con una certa soddisfazione che sto riscontrando in questi ultimi anni la riscoperta dell’antica arte della frollatura delle carni e del suo immenso contributo in chiave gastronomica, a maggior ragione per cotture come quelle in griglia, in grado di esaltarne l’incredibile complessità aromatica. Sono tutti piccoli importanti passi in direzione di un’evoluzione della cultura della carne cui avevamo nel nostro piccolo tentato di contribuire parlando della verità nel rapporto tra il consumo di carne rossa e la salute o di cosa si intendesse davvero per frollatura e la sua differenza con la maturazione, insegnando come sfruttare le possibilità offerte dal mercato della carne, al di là dei luoghi comuni.
La frollatura rappresenta probabilmente il cartello più efficace del “si stava meglio quando si stava peggio”: fino a non poi cosi tanti decenni fa, quando non si macellava tutti i giorni e la carne era un lusso, le carcasse macellate venivano conservate nelle celle dei macellai guadagnando in profumi, gusto e morbidezza. Il principio si basa sul fatto che dopo la morte dell’animale gli zuccheri si trasformano in acido lattico portando ad un’estrema rigidità del corpo, il cosiddetto Rigor Mortis. In queste condizioni si innesca l’azione di particolari enzimi secondo un processo che liberando acqua, denatura parzialmente le fibre producendo composti aromatici volatili. In altre parole la carne perde liquidi in eccesso, diventa più morbida, profumata, gustosa e digeribile.
Ci sono stati decenni bui nei quali le logiche commerciali hanno fatto sostanzialmente sparire questa pratica e nei quali trovare un professionista disposto a frollare per te un taglio di carne era virtualmente impossibile. Oggi una lenta evoluzione del mercato e della cultura gastronomica legata alla carne ha portato alla sua rinascita. In questo processo ha contribuito anche l’arrivo sul mercato di dispositivi come il Maturmeat, e tutti gli altri frigo frollatura, vetrine refrigerate professionali, in grado di controllare tutti i fattori chiave di una buona frollatura della carne, quindi non solo la temperatura ma anche l’umidità e la circolazione dell’aria, rendendo facilmente accessibile a qualunque professionista i benefici della frollatura in condizioni di completa sicurezza igienica.
Per fortuna sta diventando sempre più concepibile anche per la “casalinga di Voghera” una bistecca frollata che arrivi quantomeno ai canonici 21 giorni ma non è poi cosi raro arrivare a parlare addirittura di 30 o anche 40 giorni anche con dei non-nerd del settore. E in questo senso i frigo per frollatura si sono rivelati delle autentiche rivoluzioni, facendo comprendere a chiunque i benefici della frollatura attraverso risultati ineccepibili, senza difetti e facilmente apprezzabili anche dai più scettici. Gli appassionati come noi però sanno che sopra il limite dei 100-120 giorni, inizia a giocarsi un’altra partita, decisamente più difficile, in cui le variabili iniziano a diventare complicate da controllare e dove dettagli come la presenza dell’osso cominciano ad assumere una rilevanza significativa. Tutte condizioni nelle quali l’occhio attento e l’esperienza del mastro frollatore hanno sempre giocato un ruolo determinante.
Lo so bene quindi: la frollatura tradizionale è un’arte, sulla quale si possono raggiungere senza problemi anche periodi molto più lunghi ma richiedono indubbiamente una competenza specifica. Il Frigo Frollatore invece riesce a rendere questa pratica alla portata di chiunque. Ma sarà la stessa cosa? Qual è il limite di queste macchine utilizzate in uso comune? Fino quale limite possono sostituirsi all’uomo? Ho voluto sperimentarlo.
Il Test sul Frigo da Frollatura
Un bel giorno di fine novembre ho commissionato quindi ad una grossa macelleria della mia zona attrezzata allo scopo, il riposo nel loro frigo frollatura per 100 giorni di un carrè intero di Manzetta Polacca grado E acquistato in anticipo, ansioso di misurare i giorni che mi separavano dal giorno del test.
Il 10 marzo successivo, ho finalmente potuto organizzare di andare a ritirare la nostra cavia, dopo che aveva varcato la solenne soglia dei 105 giorni e ho potuto procedere ad una bella degustazione. Una volta prelevato dal frigo per frollatura, trovo il carrè estremamente scuro, quasi nero con un grasso opaco e burroso. Basta però inciderne un centimetro di crosta esterna per vedere un colore rosa intenso e a sprigionare un profumo estremamente intenso: sa di prosciutto, di aromi complessi e incredibilmente accattivanti. In origine il carrè pesava 14,250 Kg e dopo poco più di tre mesi è a 12,430 con un calo peso del 12,7%. Da questo punto di vista il frigo da frollatura ha lavorato bene: pensavo molto di più.
Decido di portarmelo via pulito solo dello scarto più evidente, ma facendomelo lasciare intero e di sezionarlo poi a casa per valutarlo con calma. Mi faccio squadrare le ossa, togliere la paletta inferiore e mi carico il pupo nell’isobox. Nonostante questo, per tutto il viaggio ho la macchina pervasa di un profumo che mi sembrava di essere a Langhirano, sicuramente molto intrigante ma che certamente non passa inosservato. Al momento di porzionarlo decido di giocare con la posizione del taglio rispetto allo spazio tra le coste per avere due pezzature differenti: quella classica della Costata da tre dita e una di spessore più importante. L’obiettivo è provare due cotture differenti: normale diretta a fuoco violento ed indiretta a 260°C, come una sorta di Standing Rib Roast, noto anche alle nostre latitudini come “tronchetto di manzo”, sul quale cercare una cauterizzazione importante per valorizzare il contributo gustativo del grasso.
Devo confessarti di aver fatto un piccolo test su entrambe le cotture prima di affrontare la sessione fotografica e di avere ottenuto due risultati diversi, più di quanto mi aspettassi. Rispetto alla costata grigliata in base alle classiche regole di cottura della bistecca in grilling, il mini Standing Rib Roast conservava un sapore decisamente più beefy, un carattere leggermente pungente che andava ad aggiungersi alle mille sfumature di cui parlerò in seguito, pur in presenza di due gradi di cottura assolutamente simili (non ho usato il termometro ma siamo nell’intorno del medium rare). Niente di davvero fastidioso ben inteso, anche mia moglie e mia figlia hanno pasteggiato senza problemi però oggettivamente una “punta” del famoso aroma erborinato per il quale la carne frollata è erroneamente conosciuta, era presente.
Decido quindi di provare il giorno dopo a ripetere il test, questa volta però un pochino più strutturato: cottura successiva una all’altra sullo stesso dispositivo agli stessi gradi e con temperatura interna misurata con termometro a sonda e fissata a 56°C. Eccovi il mio personale resoconto:
Cottura Indiretta
I tempi di cottura sono stati nettamente inferiori a quelli canonici in entrambi i tagli ma questo appare abbastanza normale se si considera l’assenza di acqua libera e se si conoscono i principi attraverso i quali avviene la cottura. In griglia si sviluppano profumi pazzeschi: umami alla potenza, lo stesso profumo di prosciutto che sentivo in auto ma ancora più ricco e pieno. La consistenza è molto morbida, le fibre si separano letteralmente con le dita, in modo però meno omogeneo rispetto alla successiva cottura diretta. Il gusto tradisce un po, nel senso che è sicuramente prezioso e ricco ma molto meno di quello che il profumo lascerebbe presagire. La parte che veramente manda in estasi è la superficie esterna nelle zone più ricche di grasso: letteralmente una categoria a parte per complessità e ricchezza di sfumature. Per il resto, soprattutto nella zona più al cuore, devo purtroppo riscontrare la stessa nota beefy del giorno prima. Per carità niente di eccessivamente fastidioso, ma un po come può essere per il profumo del tartufo, in un quadro di morbidezze estreme che la rendono oggettivamente un’esperienza paradisiaca per chiunque, questo elemento la sposta un pochino più nell’area del “non per tutti”, ed è un po’ un peccato.
Cottura Diretta
Il profumo in cottura è decisamente meno marcato, comunque estremamente piacevole e pieno. La consistenza è cedevole, scioglievole in bocca nonostante mi sia discostato di parecchi gradi dai 50°C di una cottura Rare. In bocca è poco minerale (ma questo credo dipenda dalla carne in se stessa), con un profilo gustativo molto più complesso rispetto allo stesso prodotto non frollato che avevo acquistato da loro altre volte. Stupisce la componente aromatica molto marcata, soprattutto in prossimità del grasso, bianco e burroso che mi ricorda molto quello presente nei salumi. Di sicuro sono evidenti le note nocciolate e i profumi che in analisi sensoriale definiremmo come terziari, quelli propri dell’evoluzione e della maturazione. Si è trattata di un’esperienza estremamente piacevole e confermo che tra le due è assolutamente quella che ho preferito.
Conclusioni: come si deve considerare il termine dei 100 giorni nel frigo da frollatura?
Sapevamo che i 100-120 giorni potessero rappresentare un termine temporale impegnativo per la frollatura carne su un frigo frollatore ed effettivamente in base a quella che è stata la mia impressione, si è arrivati al limite della sua capacità gestionale, quantomeno su una vetrina di uso promiscuo ovvero su una non dedicata ad un’unica frollatura ma a più frollature contemporanee, con tempistiche condivise e sovrapposte, con conseguenti periodiche aperture e importanti variazioni delle condizioni di esercizio. Nei limiti di quello mi è stato dato a vedere, si è rafforzata la convinzione che i frigo frollatura siano degli eccellenti ausili per la frollatura della carne ma che la successiva maturazione sia e debba continuare ad essere terreno di elezione dei maestri frollatori artigiani.
Naturalmente questa è la mia opinione ma nulla ti vieta di fare lo stesso esperimento e di farmi sapere la tua. Non resta che prenotare il tuo spazio nel frigo da frollatura del tuo macellaio. Coraggio su! Mancano solo 100 giorni.
Buon divertimento e buon barbecue!